Omicidio Pavone, chiesti 30 anni. Gagliardi: “Non sono un assassino, volevo vivere con sua moglie”

Pescara. “Sono una persona mite, non ho mai avuto problemi con la giustizia. Ho ottimi rapporti con la famiglia e i colleghi di lavoro”. Sono le dichiarazioni di difesa rese oggi davanti al gup del Tribunale di Pescara da Vincenzo Gagliardi, il dipendente delle Poste accusato dell’omicidio dell’ingegnere informatico Carlo Pavone.

Trenta anni di reclusione la richiesta di pena formulata dal pm Anna Rita Mantini per l’accusa di omicidio volontario premeditato per l’ingegnere, marito della donna che lavorava e aveva una relazione extraconiugale con l’imputato, deceduto dopo circa un’anno di coma a causa dal colpo di arma da fuoco che lo ha ferito in testa il 30 ottobre 2013, davanti alla sua villetta di Montesilvano Colle. Si tratta del massimo della pena applicabile per un rito abbreviato, procedimento chiesto e ottenuto dopo l’arresto del 28 maggio scorso.

“Non e’ che a 50 anni sono impazzito all’improvviso e sono diventato un assassino criminale, freddo e calcolatore”, si è difeso Gagliardi, “Io e la moglie di Pavone avevamo progettato di andare a vivere insieme dopo la separazione e quindi non sarei mai riuscito a vivere con lei e i figli se avessi fatto ciò cui mi si accusa”. Il difensore di Gagliardi, l’avvocato Renzo Colantonio, ha chiesto per il suo assistito l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Durante l’arringa difensiva Colantonio ha motivato la sua richiesta sostenendo che e’ stato trascurato l’elemento della prova dell’innocenza di Gagliardi e cioe’ il coltello con la lama sguainata e intrisa di sangue trovato a 50 centimetri di distanza dalla testa di Pavone. L’avvocato dell’imputato ha sottolineato che sul coltello sono state trovate delle tracce biologiche che non appartengono ne’ alla vittima ne’ all’imputato. Secondo il difensore di Gagliardi la presenza del coltello sul luogo del delitto non puo’ essere una coincidenza e quindi sul posto c’era una terza persona, che non era l’imputato, e che avrebbe a che fare con l’omicidio. L’imputato, che da 20 giorni e’ agli arresti domiciliari, e’ depresso e assume ansiolitici.

Presenti in aula Adele e Rocco Pavone,  sorella e fratello della vittima: per i familiari ammonta a 600 mila euro la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalle parti civili, rappresentate dall’avvocato Massimo Galasso: 300 mila euro per la madre della vittima, Concettina Toro, e 150 mila euro per ciascuno dei due fratelli. “A noi interessa – ha detto l’avvocato Galasso – che si accerti la responsabilita’ dell’omicidio di Carlo Pavone”. Sulla condanna a 30 anni chiesta stamani dal pm Mantini, “e’ una richiesta assolutamente congrua” – ha detto Galasso.

L’avvocato Di Zio, in rappresentanza dei figli di Pavone, non ha invece quantificato il risarcimento dei danni e al momento si e’ limitato a chiedere la provvisionale. Da parte sua il pm Anna Rita Mantini, durante la requisitoria, ha ribadito che il movente dell’omicidio e’ la relazione extraconiugale tra Gagliardi e la moglie di Pavone. La vittima era sostanzialmente un problema per l’imputato e si frapponeva al coronamento della relazione. Il pm ha, inoltre, evidenziato gli indizi a carico di Gagliardi, come ad esempio, la presenza della polvere da sparo sui vestiti, le ricerche effettuate su internet per appurare come procacciarsi un’arma e a che distanza puo’ essere fatale un colpo sparato da un flobert, la pericolosita’ dei colpi esplosi. L’accusa ha contestato anche l’alibi e ha infine parlato di premeditazione chiedendo per Gagliardi 30 anni di reclusione.  “E’ una richiesta congrua”, ha commentato l’avvocato Galasso.

La sentenza e’ prevista per domani alle 15.

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