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Pescara, omicidio Rigante: Mimmo Nobile in aula per la difesa di Ciarelli

L’Aquila. Il  giudice della Corte d’Assise d’Appello, che oggi stanno affrontando a L’Aquila il processo bis sull’omicidio dell’ultras pescarese Domenico Rigante, ha accolto la richiesta della difesa di ascoltare Mimmo Nobile, tra i presenti nella casa in cui fu teso l’agguato al giovane.

Nobile, uno dei capi del tifo organizzato biancazzurro, è attualmente detenuto per aver assaltato e rapinato dei portavalori:  dal carcere di San Donato ha scritto una lettera nella quale prende una posizione diametralmente opposta a quella fornita nell’immediatezza dei fatti e nei giorni a seguire il delitto. In prima battuta, Nobile aveva detto di stare dormendo mentre lo squadrone Rom assaliva l’appartamento e Massimo Ciarelli sparava a Rigante, rintanato sotto un tavolo. Poi, però, ha riconosciuto gli assalitori in sede di incidente probatorio e ora, nella lettera, ha sottolineato le intenzioni del rom di voler solo gambizzare e non uccidere Domenico Rigante.

Una difesa a sorpresa del principale protagonista della spedizione punitiva di quel terribile primo maggio del 2102 in via Polacchi a Pescara, che si è sempre difeso reputando “una disgrazia”, il colpo di revolver indirizzato al gluteo e poi risultato fatale per il “Gemellone”. In sostanza Nobile, che sara’ ascoltato nella tarda mattinata, si schiera inaspettatamente in favore di Massimo Ciarelli condannato il 3 febbraio scorso dal gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sandrea a 30 anni di reclusione per omicidio volontario premeditato. Nobile fu anche tra gli organizzatori della manifestazione che si tenne all’indomani del funerale del giovane davanti al Municipio di Pescara, dove migliaia di persone urlarono a gran voce alla “cacciata degli zingaroni” dalla città. Manifestazione preceduta da episodi di intimidazione nei confronti dei rom e seguita da un corteo che sfiorò l’assalto ai quartieri in cui gli zingari vivono.

I legali dell’imputato, con l’audizione di Nobile, tendono a far derubricare il reato al fine di ottenere la preterintenzionalità dell’omicidio. In primo grado, con il rito abbreviato, oltre a Massimo Ciarelli, erano stati condannati a 19 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario anche Domenico Ciarelli, nipote di Massimo, e i cugini Luigi, Antonio e Angelo Ciarelli che quella sera accompagnarono il principale imputato nella spedizione punitiva avvenuta nell’appartamento al pian terreno di via Polacchi dove viveva la vittima.

Il movente dell’omicidio sarebbe maturato dopo un’onta subita la sera prima da Massimo Ciarelli in corso Manthonè dove il rom fu malmenato dal fratello di Domenico, Antonio Rigante, al punto da dirgli, come ricostruì l’accusa, “io ti sparo in testa”. E proprio sulla volontà o meno di uccidere che oggi si gioca la partita finale tra accusa e difesa.