L’Aquila, ricostruzione dell’anca con protesi in 3D. L’intervento

Il direttore della ASL 1 Avezzano-Sulmona-L’Aquila comunica con soddisfazione che all’ospedale San Salvatore dell’Aquila è stato realizzato un importante intervento di ricostruzione dell’anca con tecnologia avanzata in una giovane paziente affetta da infezione di protesi di anca.

 

L’impianto è stato effettuato dal Prof. Giandomenico Logroscino, afferente alla UOSD di Ortopedia Universitaria, diretta dal Prof. Vittorio Calvisi. La paziente, già portatrice di protesi di anca per displasia congenita, nei giorni scorsi ha lasciato il nosocomio aquilano in stato di completa guarigione.

La giovane, proveniente da fuori regione, dal 2015 era stata sottoposta a diversi interventi per una infezione della protesi senza alcun risultato. La patologia era fortemente disabilitante, avendo comportato la perdita completa della funzionalità articolare. Le conseguenze, in termini di perdita di qualità di vita, sono facilmente immaginabili.

Data la giovane età e la gravità della malattia è stata adottata una strategia in due fasi successive, un primo intervento di rimozione della protesi infetta effettuato in gennaio e, dopo alcune settimane di terapia antibiotica, la ricostruzione e il reimpianto della protesi d’anca effettuato nelle settimane scorse, con un ritardo rispetto alla tabella programmata dovuto alla pandemia COVID.

Il problema di base era la gravissima perdita di osso a livello della porzione articolare del bacino (acetabolo) dovuto sia alla malattia di partenza, la displasia congenita di anca, che all’ intervento di pulizia e rimozione della protesi che aveva  determinato ulteriore perdita di osso.

In pratica, la cavità acetabolare del bacino, dove si articola la testa del femore, non esisteva più (foto), e risultava pressoché impossibile il reimpianto di una protesi di uso corrente.

Si è quindi usata una tecnologia estremamente innovativa, che permette di ricostruire in 3D impianti protesici su misura, necessari in caso di gravi perdite ossee.

Con un software dedicato, è stato  elaborato il progetto dell’impianto definitivo. Chirurghi ortopedici e ingegneri biomedici hanno simulato l’intervento al computer, lavorando su forma e dimensione di ogni componente protesica per venire incontro alle caratteristiche anatomiche specifiche della paziente, fino a trovare la combinazione ottimale delle componenti con l’osso residuo.

L’impianto definitivo è stato quindi realizzato in titanio con tecnica 3D, realizzazione che ha richiesto circa un mese di lavorazione.

L’intervento di ricostruzione  si è svolto senza complicanze. Nel periodo postoperatorio sono state impiegate medicazioni avanzate della ferita ad aspirazione sotto vuoto, allo scopo di ridurre le secrezioni e facilitare la guarigione. Immediatamente dopo l’intervento è stato intrapreso un percorso di riabilitazione da parte dei fisioterapisti, che hanno permesso la ripresa della deambulazione dopo pochi giorni ed infine la dimissione protetta in clinica di riabilitazione.

In assenza di complicanze, entro 2-3 mesi la paziente potrà tornare a svolgere una vita normale, dopo 5 anni di sofferenza e numerosi interventi non risolutivi.

Il successo dell’intervento è stato possibile grazie alla collaborazione dell’UOC del Farmaco, dell’ UOC Beni e Servizi, dell’UOC di Radiologia, dell’UOC di Malattie Infettive, dell’UOC di Anestesia e Rianimazione, oltre che del personale infermieristico del Blocco Operatorio dell’Ospedale San Salvatore.

“Questa vicenda, dimostra come la sinergia tra le diverse unità operative della ASL, così come la sinergia ASL-Università, possano portare a brillanti ed innovativi risultati, con significativi benefici per i malati” afferma con soddisfazione il manager, dott. Testa, che sottolinea  “l’importanza di una comunicazione costruttiva agli utenti al fine di valorizzare le professionalità interne, anche per evitare  quel “turismo Sanitario” molto di moda ma spesso non necessario, se non del tutto inutile, con oneri aggiuntivi per gli utenti stessi e per la ASL”.

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