Sulmona. Nove anni di reclusione, 8 per omicidio colposo con guida in stato di ebbrezza e 1 per omissione di soccorso, oltre alla revoca della patente di guida e interdizione dai pubblici uffici.
Questa la condanna inflitta poco fa dal Gup Massimiliano Magliacani con rito abbreviato (con sconto di un terzo della pena) nel processo a carico di M.C.M., cuoco bergamasco di 35 anni responsabile dell’incidente costato la vita l’anno scorso all’appuntato scelto dei Carabinieri Emanuele Anzini, travolto e ucciso mentre svolgeva il suo lavoro. La madre, la sorella e la compagna convivente della vittima si sono affidati a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di omicidio stradale con sedi in tutta Italia.
La sorella Catia, assistita dall’avvocato Francesca Pierantoni, si è costituita parte civile all’udienza odierna. Erano quasi le tre del 17 giugno scorso quando, insieme ad un collega, Emanuele Anzini, carabiniere di stanza a Zogno, stava effettuando un posto di blocco sulla Sp166 a Terno d’Isola. Un’Audi A3, però, non si fermò all’alt intimato dal militare, investendolo in pieno e scaraventandolo a diverse decine di metri di distanza, per poi proseguire nella corsa senza fermarsi a soccorrere il ferito. Immediati ma inutili i soccorsi del collega, di alcuni testimoni e del personale sanitario, con l’appuntato morto praticamente sul colpo a causa dei gravissimi traumi riportati.
Solo diversi minuti dopo l’investitore tornò sui suoi passi, venendo arrestato con l’accusa di omicidio stradale con l’aggravante dell’omissione di soccorso e della guida in stato di ebbrezza. M.C.M., infatti, aveva un tasso alcolemico di quasi cinque volte superiore al consentito. Le indagini del pubblico ministero Raffaella Latorraca, unitamente alle consulenze tecniche richieste per fare luce sulla dinamica del sinistro e alle testimonianze di chi si trovava nei pressi del posto di blocco, hanno chiarito quanto effettivamente successe in quei pochi drammatici istanti.
L’investitore, visibilmente ubriaco e distratto alla guida, non si avvide del carabiniere che gli intimava l’alt a centro strada, nonostante il tratto stradale fosse rettilineo e sufficientemente illuminato e nonostante Emanuele Anzini indossasse i dispositivi catarifrangenti in dotazione, elementi più che sufficienti ad evitare l’impatto. Inutile fu quindi un estremo tentativo di scarto quando ormai la velocità (anch’essa superiore al consentito) non permetteva più di evitare lo scontro mortale. “Il nostro dolore è immenso. Questa morte è inaccettabile – commenta affranta Catia Anzini, sorella della vittima poco dopo la lettura della sentenza – Inaccettabile per noi familiari di Emanuele, ma anche per l’intera collettività. Questo incidente è l’emblema di come, per alcune persone, il rispetto delle leggi e il rispetto per la vita ed il lavoro degli altri non abbia alcun valore. Questo ragazzo non ha pensato minimamente alle possibili conseguenze del proprio agire, come ci si può mettere alla guida con un tasso alcolemico di quasi 5 volte il consentito e sperare che non accada nulla? L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, avvenuta mentre era in servizio per proteggere tutti noi, richiami le coscienze di tutti coloro che si mettono ogni giorno al volante ad un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine”.