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L’Aquila, Monsignor Petrocchi visita ricoverati e detenuti

L’Aquila. In questi primi giorni della Settimana Santa l’Arcivescovo dell’Aquila si reca in visita alle persone ricoverate nell’Ospedale del capoluogo abruzzese e ai detenuti del carcere.

Questa mattina Mons. Petrocchi è stato in visita all’Ospedale San Salvatore. Dopo l’incontro con i dirigenti della Azienda Sanitaria Locale, il personale medico e paramedico, Mons. Petrocchi ha visitato alcuni pazienti ricoverati nell’Ospedale aquilano.

Pazienti a cui Mons. Petrocchi ha ripetuto l’invito fatto nel Messaggio per la Pasqua di quest’anno: “In Cristo ogni croce, di qualunque tipo e grandezza, può essere trasformata in “spazio-di-risurrezione”. Ecco perché la sofferenza – vissuta nel Signore – può diventare una finestra che si spalanca sull’amore e ne mostra i volti: abissali e misteriosi. Mi ha scritto una ragazza aquilana: «Il dolore è un grande maestro, se il discepolo si lascia illuminare dalla grazia che lo accompagna».

Nella visita è stato accompagnato dai Cappellani fra Corrado Lancione e fra Luciano Antonelli.

Domani, si recherà presso la Casa Circondariale “Costarelle” di Preturo dove incontrerà il Dirigente e gli Agenti della Polizia Penitenziaria. Successivamente visiterà i detenuti insieme al Cappellano don Marco Manoni.

Lo scorso luglio, dopo la visita al Carcere romano di Rebibbia l’Arcivescovo Petrocchi, soffermandosi sulla condizione dei detenuti, ebbe a dire sdul giornale diocesano “Vola”: “Se il carcere diventa soltanto una forma di ritorsione sociale, se la detenzione è intesa solo come un atto attraverso il quale la comunità civile si autotutela da un pericolo, allora il carcere si trasforma in zona di marginalità e non può assolvere alla funzione di essere area nella quale la persona è sollecitata a trovare le vie della verità e del bene: strade che conducono verso Dio, verso l’altro e verso se stesso.”

Infine citando la lettera ai carcerati di San Giovanni Paolo II nell’anno 2000, concluse: “Chi si trova nella detenzione non deve vivere come se il tempo del carcere gli fosse irrimediabilmente sottratto: anche il tempo trascorso in carcere è tempo di Dio e come tale va vissuto; è tempo che va offerto a Dio come occasione di verità, di umiltà, di espiazione ed anche di fede”.