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L’Aquila, il Messaggio di Natale dell’Arcivescovo Petrocchi

L’Aquila. ‘Celebrare il Natale significa fare posto, nella mente e nel cuore, a Gesù che bussa alla nostra porta. Spesso non disponiamo di uno spazio già pronto: occorre, perciò, procurarGli un ambiente che era occupato, sgombrandolo.

Bisogna farlo entrare dove Lui era assente e offrirGli ospitalità dove prima era escluso. Infatti, dobbiamo ammettere, con onestà, che spesso siamo intasati da interessi sbagliati e da abitudini malate. E chi vive lontano dalla verità, non si vuole bene, anche se corre dietro alle proprie ambizioni’.

Inizia così il Messaggio di Natale 2016 che Monsignor Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo di L’Aquila, ha voluto indirizzare a tutti i fedeli.

‘Capita a molti, purtroppo, di “non avere tempo” da dedicare alla preghiera quotidiana. Di fatto, questo succede perché si è indaffarati in altro. Eppure la giornata è composta da 1440 minuti: davvero non riusciamo ad accantonarne almeno 15, da dedicare all’incontro personale con il Signore?

Come mai il ritmo della nostra esistenza diventa così pressante da non consentirci “pause” per “pensare” con calma, lasciandoci visitare dalla Parola? La settimana conta 10.080 minuti: è proprio così difficile riservarne 60 per partecipare alla messa domenicale?

Eppure, assicurarsi questi momenti di sosta riflessiva e di colloquio con Dio, fa bene: non solo all’anima, ma anche alla psiche e al corpo. Lo dicono i Maestri dello spirito, ma anche gli esperti in scienze umane.

Non ci trattiamo bene, quando ci priviamo di questo “ossigeno” evangelico. Per questo rimaniamo “senza fiato”, quando la vita ci chiede di superare ostacoli imprevisti e di compiere sforzi che non siamo allenati a fare.
Teniamo sempre a mente che dovremo rispondere a Dio di ogni attimo della storia che ci è stata data e delle occasioni di santità che abbiamo ricevuto (cfr. Rm 14,12).

Nelle famiglie, le relazioni restano non raramente impantanate in atteggiamenti superficiali e dispersivi: capita, così, che si comunica con i “lontani” e non si parla con i propri congiunti. Come sarebbe bello se, almeno una volta alla settimana, si vivesse il “Tg della famiglia”, in cui – spegnendo la televisione, i cellulari, i computer e gli altri apparati mediatici – tutti i membri della comunità domestica possono raccontarsi e ascoltarsi, con un’attenzione carica di amore.

Per vivere un “Natale cristiano” bisogna spalancare il proprio cuore anche a Gesù “negli altri”, specie gli ultimi e i sofferenti. Altrimenti scadiamo in una fruizione solo esteriore della festa, fatta di consumismo diffuso, condito con un po’ di buonismo passeggero.

Ricordiamoci – come ci esorta Papa Francesco …che «siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri»[1].

Vivere, con altruismo, il dono del Natale, comporta impegnarsi in atti di sincera generosità, specie verso chi è “in debito” con noi. La novità evangelica, accesa nell’anima dal Signore, ci spinge, nei rapporti interpersonali, a condonare i “debiti” e i corrispettivi “rimborsi”, che ci erano dovuti.

Questo accade quando siamo pronti a dare un sorriso a qualcuno che eravamo tentati di scansare o quando facciamo il primo passo per ricucire un rapporto lacerato, anche per colpa dell’altro.

Ogni vittoria riportata sul nostro egoismo e su atteggiamenti polemici costituisce uno spazio che spalanchiamo al Signore: il risultato è sempre la gioia che arde dentro di noi e una coinvolgente pienezza, che sentiamo sprigionare dal cuore.

Va sottolineato che accogliere Gesù, in noi e negli altri, è una scelta “conveniente”, perché in Lui troviamo la Luce che da soli non abbiamo e riceviamo la forza che ci manca. Senza il Signore rimaniamo in balia di noi stessi, e non riusciamo a diventare ciò che siamo chiamati ad essere, poiché senza di Lui non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5).
Solo il Verbo-fatto-uomo può dare significato alla nostra esistenza, donandoci la forza di vincere il male e di compiere il bene, secondo la volontà di Dio. La nostra scarsa “solarità” interiore così come le “perturbazioni” umorali e relazionali, che caratterizzano la “meteorologia” dell’anima, derivano dalla carenza del fattore-carità e dalla incapacità di dare senso ai problemi che ci visitano’, insiste Petrocchi.

‘Se Gesù viene sloggiato dalla nostra esistenza, allora i problemi prendono il sopravvento, avvolgendoci con la loro oscurità e con la carica aggressiva che li attraversa. Non è vero che siamo tristi e si litiga perché ci sono conflitti, ma perché non li sappiamo gestire, tramutandoli in occasioni di crescita e di maturazione.

Così come non è vero che ci bagniamo perché piove, ma perché non abbiamo l’ombrello o siamo sprovvisti di un riparo adeguato. Infatti, la pioggia, che può rappresentare un fenomeno fastidioso, porta pure tanti benefici e si rivela provvidenziale, se uno è “attrezzato” per affrontarla.

Così mi scriveva una ragazza, che, seguendo Gesù, ha ritrovato il sentiero della Speranza: «ognuno di noi ha le sue “situazioni-graticola”: ma non si può continuare a vivere da morti. Ero incatenata al peggio di me; ma ora che ho preso coscienza di ciò che bolle sotto il coperchio della mia pentola, chiedo la grazia di lasciare il mio “prima” per entrare nel “nuovo” di Dio».

In ogni Natale il Signore nasce nei “luoghi” del dolore e accende sulla volta del nostro cielo una “stella cometa”, destinata a condurci fino a Lui: si tratta di qualcuno o qualcosa che ci porta un messaggio di salvezza, dove Dio ha messo la risposta che cerchiamo e la grazia di cui abbiamo bisogno per superare ogni contrarietà.

Da qui, deriva la certezza che sempre ci è donata una possibilità di riscatto: anche se fossimo precipitati nel baratro esistenziale più profondo. Capita a tanti di incontrare il Signore proprio là dove non avrebbero mai pensato che trovarLo. Infatti, niente e nessuno può compromettere la nostra sorte: solo noi possiamo rovinarci, con le nostre stesse mani.

Il Natale ci insegna a gettare gli affanni in Dio, che si prende cura di noi. Certo, dobbiamo impegnarci a fondo e fare ciò che ci compete, partendo però non da noi stessi ma da Dio, che è Amore.

Carissima sorella/ carissimo fratello, tieni fisso nell’animo che l’orgoglio non sta solo nell’autoesaltarsi, ma anche nello scoraggiarsi: perché proprio il disfattismo avvilito oppure arrabbiato costituisce la prova che avevamo puntato solo su di noi, e quando è crollato il bastione delle nostre sicurezze, ci sentiamo persi.

E una forma corrosiva e camuffata di orgoglio è proprio quella di piangersi addosso e poi dichiarare la resa, adducendo come motivo “non ce la faccio, è più forte di me”. Più forte di te, forse sì. Più forte di Dio, certamente no. Perciò, consegnati al Suo Amore e fa’ quello che ti dirà.

Bisogna cercare il Signore con perseveranza (seguendo la “stella”, come fecero i Magi) e arrivati a Lui, che vive nella Chiesa, occorre ascoltarLo, per farsi spiegare “a cosa servono” le avversità e perché Dio le permette. Poi frequentare la Sua scuola, nella Comunità cristiana, per imparare a “portarle” bene, trasformandole in amore.

L’incontro con Gesù, facendoci figli dello stesso Padre, ci rende fratelli fra noi: è questa consapevolezza che ci consente di essere-famiglia, nella condivisione delle risorse e nella partecipazione alle difficoltà. San Francesco di Sales così scriveva: «Coloro che camminano sulla pianura non hanno bisogno di darsi la mano; ma coloro che vanno per sentieri erti si tengono l’un l’altro per procedere più sicuri»[2].
Si fa Natale nella misura in cui si cresce nel vivere “attivamente” la comunità, ecclesiale e sociale, edificandola come casa e scuola di comunione.

In particolare, abbracciamo, con affetto commosso e fattiva partecipazione, le popolazioni vicine, colpite dal flagello del terremoto: è una devastazione, questa, che la nostra gente conosce bene.
Anche ai nostri fratelli immigrati vogliamo stringere cordialmente la mano, nel segno di una accoglienza animata da carità “intelligente” e, per questo, lungimirante: siamo convinti, infatti, che la vera saggezza, capace di costruire un futuro migliore, sta nel leggere, dentro le righe della storia, i disegni di Dio sui singoli e sui popoli.

A Maria, che si è interamente lasciata abitare dallo Spirito Santo, affido i pensieri più alti e i sentimenti più belli che lo Spirito ha seminato dentro di voi: possa questo Natale portare a tutti e a ciascuno la certezza che siamo preziosi agli occhi di Dio e che, in Gesù, Verbo-fatto-carne, insieme al dono della Vita possiamo attingere ogni altro bene’, conclude l’Arcivescovo.