L’Aquila. “A L’Aquila è sospeso tutto, tranne le tasse”. È la conclusione a cui giunge una cittadina aquilana che, a quasi due anni di distanza dal terremoto del 6 aprile, torna a soffermarsi sulla situazione degli abitanti del progetto C.a.s.e..
“A parte non aver capito i criteri di assegnazione” si legge nella segnalazione della donna, “i colloqui per verificare i requisiti sono stati dei veri e propri interrogatori, paragonabili a quelli che si vedono nei film americani quando il commissario interroga l’assassino. La documentazione da portare era abbastanza ovvia, ma in alcuni casi si è toccato il ridicolo. Conosco persone che per dimostrare la stabile dimora hanno dovuto esibire lettere e cartoline ricevute, altre un mare di certificati medici. Personalmente sono stata “accusata” di possedere un terreno ad Avezzano che, a parte il fatto che è stato venduto, non era neanche edificabile. Insomma per ottenere un diritto, abbiamo dovuto sottoporci a vere e proprie vessazioni. Che poi servissero a scovare i furbi è solo una illazione, visto che ancora non se ne viene a capo”.
Il problema non sembra essere risolto una volta entrati di diritto nelle abitazioni del progetto C.a.s.e.. La cittadina aquilana sottolinea, infatti, il fatto che esista una ordinanza della Struttura per la Gestione Emergenza con la quale viene imposto, ai residenti di queste case, di dare comunicazione scritta di eventuali assenze che si protraggano per più di una settimana. “Mi viene in mente l’articolo 13 della Costituzione” continua la donna “che sancisce: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (mandato dell’autorità giudiziaria, GIP- polizia)”.
Non solo. La donna racconta anche di un suo concittadino assegnatario di un alloggio per due persone (il titolare e la figlia), a cui sarebbe stata revocata l’assegnazione dell’abitazione perché, nel frattempo, la figlia si è iscritta all’Università degli Studi di Bologna. “La caparbia amministrazione” racconta la donna “decide che il titolare deve rinunciare all’alloggio, aspettarne uno per single ed eventualmente aggiungere un divano letto per la figlia. Il cittadino aquilano fa ricorso al Tar e lo vince”. Tra le motivazioni che portano il Tar a pronunciarsi in favore dell’aquilano c’è il fatto che la condizione del ricorrente non può essere assimilata a quella di un single proprio perché padre di una ragazza, che, tra l’altro, non vanta un reddito proprio. Inoltre, come sottolinea l’articolo 6 della Costituzione, la scelta del domicilio costituisce espressione di una libertà costituzionalmente garantita.
“L’ordinanza dà disposizioni precise ai nuclei famigliari assegnatari di alloggi provvisori” continua la donna. “Tra le altre l’obbligo di comunicare assenze protratte per più di 30 giorni, anche di un solo componente del nucleo, al fine di spostare il nucleo in alloggio più piccolo. Una delle perle di tale disposizione riguarda il fatto di poter ospitare in casa un famigliare senza, peraltro, aver diritto ad un alloggio di dimensioni maggiori: “Il soggetto a cui è consentita la ospitalità nell’alloggio del Progetto C.A.S.E. o M. A.P. segue la sorte del nucleo assegnatario; di conseguenza in caso di rinuncia o perdita dei requisiti, l’ospite deve lasciare l’alloggio contestualmente al nucleo ospitante”. E non è finita. “E’ inibito l’ingresso in strutture ricettive per motivazioni sanitarie”. Con questa disposizione sono stati violati contemporaneamente quattro o cinque articoli della costituzione. C’è un qualche esperto che ci aiuta a ricorrere al Tar, anzi no, al Presidente della Repubblica?”.