Una Chiesa che ha sempre inculcato negli Aquilani una sorta di timore reverenziale: appena entravi dentro, restavi subito colpito dal fatto che fosse scura, buia al confronto del Duomo, della Basilica. E in qualche senso, anche se è stata riaperta alla cittadinanza (ma sempre a gruppi limitati di persone), buia ci è rimasta: con quel cartongesso a separare la parte in cui si è celebrata la messa, e la parte dietro l’altare. Al buio, lì dove ci sono i resti della cupola caduta, di quella cupola che è diventata una delle immagini del terremoto aquilano. Quella cupola del Vanvitelli che si è sgretolata ad ogni colpo della terra, e che ora vede sul suo timpano, incrinato e pericolante, un ombrello ipertecnologico che impedisce all’acqua e alla neve di fare breccia all’interno dell’edificio. “È bello far tornare a suonare la campana su questa piazza”, dice l’Arcivescovo, poco dopo le 18. “E’ un segno di riscossa della città”. Chissà se una campana possa essere davvero l’inizio della riscossa. Fatto sta che alla celebrazione della prima Messa in questa Chiesa erano presenti tutti, o quasi: politici, fedeli, autorità. Quasi: perché c’era grande attesa per la presenza, annunciata, di Guido Bertolaso, o di quella, non annunciata ma nell’aria, di Silvio Berlusconi. Né l’uno né l’altro, con le persone, fuori dalla Chiesa davanti ad uno schermo gigante, a domandarsi dove fosse il capo della protezione civile, dato che comunque era all’Aquila, alla consegna dei MAP a Sassa.
“Impegni improvvisi lo hanno costretto a tornare a Roma”, spiega il dirigente della protezione civile Michele Castaldo, responsabile della segreteria di Bertolaso.
Che ad una Chiesa, ferita nel cuore ma viva, ha preferito quella solitaria e ancora da terminare, nella sua struttura di lamiera e ferro, di Piazza d’Armi.
Eleonora Falci