Assoluzione per le nomine alla Asl di Chieti: i commenti del giorno dopo

Ieri il Tribunale di Chieti ha assolto il direttore generale dell’Asl Lanciano Vasto Chieti Pasquale Flacco e l’ex direttore amministrativo Sabrina Di Pietro, accusati di concorso in abuso d’ufficio (Di Pietro anche di false attestazioni su qualità personali).

 

La Corte dei Conti aveva già disposto l’archiviazione del procedimento. La vicenda originava da un esposto del presidente della Commissione vigilanza della Regione Abruzzo Mauro Febbo.

“Viene finalmente ristabilita la verità sulla correttezza dell’operato del direttore Flacco e della dr.ssa Di Pietro – commenta l’assessore alla sanità Silvio Paolucci – cui vanno la mia stima e il mio ringraziamento.

La politica delle denunce e degli esposti portata avanti per 18 mesi da Febbo ha fatto un clamoroso buco nell’acqua, producendo solo uno spreco di tempo e denaro (anche pubblico) di tutte le parti coinvolte in questa vicenda. Su queste accuse è stato fatto sciacallaggio in maniera sistematica, con un uso improprio e strumentale della Commissione vigilanza. Febbo – conclude Paolucci – chieda scusa, senza sé e senza ma”.

 

 

“Cosa posso dire? Che siamo due a zero, e non c’è molto altro da aggiungere”: così il direttore generale della Asl Lanciano Vasto Chieti, Pasquale Flacco, risponde a quanti gli hanno chiesto un commento dopo l’assoluzione piena ottenuta al processo che lo vedeva imputato con l’ex direttrice amministrativa Sabrina Di Pietro.

Com’è noto, l’accusa di abuso d’ufficio in concorso era riferita alla nomina di quest’ultima, finita nel mirino perché ritenuta irregolare per mancanza di requisiti.

 

“Già qualche mese fa si era espressa sullo stesso argomento la Corte dei Conti – aggiunge Flacco – che aveva archiviato il caso, sollevato sempre dal presidente della Commissione regionale di vigilanza, autore anche della denuncia in Procura. Per la magistratura contabile non era stato prodotto alcun danno erariale con la nomina della Di Pietro, così come oggi la stessa non configura alcun reato sotto il profilo penale.

Sono sempre stato sereno perché consapevole di aver agito nella legalità e nel rispetto delle regole, ma questa sentenza aggiunge qualcosa in più: la forza che deriva dalla verità accertata. E che mi permette oggi di dire che in realtà un abuso c’è stato, ma di arroganza e malanimo da parte di chi con una violenza inaudita ha infangato quest’Azienda e i suoi rappresentanti.

Dipinti come malfattori, bugiardi, indegni del nostro ruolo. Per chi crede nella sacralità della carica pubblica, è uno sfregio, che comunque ferisce credibilità e immagine. Siamo stati fatti a pezzi prima di essere giudicati dalla magistratura ordinaria e condannati anzitempo dalla politica sleale e volgare. La sentenza di ieri, perciò, dissolve le ombre, costruite ad arte, e rimette a posto i pezzi. Rinnovo la mia stima, mai venuta meno, peraltro, a Sabrina Di Pietro, la quale con onestà e passione ha profuso il massimo impegno per la nostra Azienda, che ha voluto preservare dal fango rassegnando le dimissioni. Un gesto nobile, raro di questi tempi. Che fa la differenza tra le persone”.

 

 

Mauro Febbo. Ho posto in essere un atto dovuto nella mia qualità di Presidente della Commissione di Vigilanza della Regione e nell’espletamento del ruolo e delle funzioni istituzionali che mi vengono richiesti. L’esposto non è nato da alcun intento vessatorio e/o polemico e/o accanimento, men che meno di carattere personale, nei confronti della  d.ssa Di Pietro ma da fatti oggettivi e atti documentati.

La circostanza che la dott.ssa Di Pietro si sia occupata di una struttura socio assistenziale (Ex ONPI di Caprara – Spoltore) e non di una struttura socio-sanitaria è stata rilevata nella Sentenza n. 194/2011 Tribunale Penale de L’Aquila – Ufficio GIP nel proc. RGNR 1653/2010, nella quale è stato accertato che la predetta struttura non svolgeva attività riconducibile a quella sanitaria.

 

Infatti le circostanze da me esposte sono state pienamente condivise dalla stessa Procura della Repubblica di Chieti che ha disposto i propri necessari accertamenti, ritenendo gli stessi idonei a sostenere la pubblica accusa in giudizio; in caso contrario, non si sarebbe arrivati a dibattimento, bensì sarebbe stata formulata richiesta di archiviazione. Prima di ogni considerazione – conclude Febbo – sarà comunque opportuno leggere le motivazioni della sentenza e le conseguenti decisioni della Procura al fine di poter di esprimere eventuali valutazioni finali sulla vicenda”.

 

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