Centro di Scienze dell’Invecchiamento dell’Università di Chieti tra i protagonisti di uno studio internazionale sul diabete

universita_chietiChieti. Dallo studio di oltre quattromila pazienti, negli Stati Uniti e in Italia, giunge la scoperta di un particolare assetto genetico che, nelle persone affette da diabete di tipo II, può aumentare del 36% il rischio di essere colpite da malattie cardiovascolari.

Una ricerca che ha visto il Centro di Scienze dell’Invecchiamento e l’Unità operativa di Fisiopatologia Vascolare del Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche della D’Annunzio collaborare con l’Harvard University di Boston e con altri importanti centri di ricerca statunitensi ed italiani. Lo studio, pubblicato sul Journal of the American Medical Association (Jama), è stato condotto attraverso il cosiddetto “genome wide association” (Gwas), un metodo che permette di esaminare un gran numero di geni presenti nel nostro DNA, in questo caso oltre due milioni e mezzo. Si mira ad individuare particolari conformazioni del codice genetico, definite varianti o polimorfismi, che si accompagnano ad un aumento o diminuzione del rischio di una malattia. Ciò che i ricercatori americani ed italiani hanno scoperto è proprio una di queste varianti, situata vicino ad un gene cruciale per il metabolismo di un particolare aminoacido, l’acido glutammico. I malati di diabete tipo II sono in generale più esposti al rischio di malattie cardiovascolari, ma quelli che presentano questa variante genetica presentano un rischio ancora più elevato.
“Sappiamo già – spiega Assunta Pandolfi, direttore dell’Unità operativa di Fisiopatologia Vascolare del Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche nell’Università “Gabriele D’Annunzio” – che l’acido glutammico, il cui metabolismo potrebbe essere influenzato da questo polimorfismo appena scoperto, è coinvolto nei meccanismi della regolazione della secrezione insulinica, e di conseguenza del glucosio nel sangue. Sono proprio quelle funzioni che vengono disturbate nel diabete di tipo II”.
Uno degli aspetti più interessanti della ricerca è che questa particolare conformazione genetica aumenta il rischio solo nei diabetici di tipo II, mentre non sembra avere alcun effetto sulle persone sane. “E’ un risultato molto interessante – continua Pandolfi – persone con quella variante, ma non malate di diabete tipo II, non presentano alcun aumento di rischio. Ciò ci spinge a pensare che i fattori genetici implicati nelle malattie cardiovascolari siano diversi tra chi è affetto da diabete e chi no”.
La scoperta potrebbe quindi aprire la strada verso l’individuazione di nuove strade per spezzare il collegamento tra diabete tipo II e malattie del sistema cardiovascolare, un problema di enormi proporzioni: nel mondo oltre 370 milioni di persone hanno il diabete di tipo II, una condizione che aumenta di tre volte la possibilità di essere colpiti da infarto o altre patologie circolatorie.

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