Chieti. Il Tribunale di Chieti ha condannato a 4 anni di reclusione ciascuno l’ex imprenditore della sanità privata abruzzese Vincenzo Angelini, la moglie Anna Maria Sollecito e la figlia Chiara
per il reato di abbandono di persona incapace nell’ambito del processo sulla gestione delle strutture riabilitative psichiatriche che facevano parte del gruppo Villa Pini del quale la famiglia Angelini era a capo.
I tre sono stati assolti per non aver commesso il fatto dall’accusa di truffa.
Con la stessa formula il collegio, presidente Geremia Spiniello, a latere Isabella Allieri e Andrea Di Berardino, ha assolto altri tre imputati ovvero Claudio Cignarale, medico psichiatra convenzionato con l’Asl di Chieti, e delegato all’ attività di vigilanza e controllo delle strutture psichiatriche di Villa Pini, Vincenzo Recchione all’epoca dei fatti responsabile del dipartimento di assistenza sanitaria ospedaliera dell’Asl, e Giovanni Pardi all’epoca coordinatore operativo delle strutture psicoriabilitative di Villa Pini.
Pardi e Cignarale erano accusati di concorso in abbandono e truffa, Recchione di concorso in abbandono di incapace.
Angelini, la moglie e la figlia, sono stati condannati a rifondere le spese processuali per 5.000 euro e risarcire la Asl con 20.000 euro: la Asl, che si era costituita parte civile per la truffa, che avrebbe fruttato 24 milioni di euro, aveva chiesto una provvisionale di 2 milioni.
Il pubblico ministero Marika Ponziani aveva chiesto per i tre componenti della famiglia Angelini e per Pardi 5 anni di reclusione e 1.500 euro di multa, per Cignarale e Recchione tre anni e 1.000 euro di multa. Gli unici presenti in aula oggi erano Cignarale e Recchione che hanno reso dichiarazioni spontanee.
La testimonianza più attesa, peraltro l’ultima, poiché slittata in passato per la difficoltà di notificare la citazione, è stata quella di Ignazio Marino, ex presidente della Commissione d’inchiesta del Senato sulla Sanità: è dalla segnalazione datata 22 luglio 2009 della Commissione che prese le mosse l’inchiesta sulle strutture di riabilitazione psichiatrica dell’ex gruppo Villa Pini.
Pareti scrostate per l’umidità, urina, uscite di sicurezza chiuse a chiave, sporcizia, questo il quadro emerso dal processo e confermato oggi da Marino in Aula.
“All’ex Paolucci, c’era un ascensore come quelli degli uffici”, ha detto Marino parlando di una delle strutture ispezionate all’epoca. “In caso di decesso, ci dissero, le persone venivano portate in piedi ai piedi inferiori”, ha riferito l’ex parlamentare e anche ex sindaco di Roma.
“Ma il sopralluogo più devastante – ha ricordato Marino – fu alle Villette: i pavimenti erano luridi e appiccicosi, le scarpe aderivano al suolo per l’urina, c’erano cani e gatti randagi, una parete divisoria era sfondata”.
A colpire Marino e la Commissione fu anche l’età dei pazienti, per la maggior parte età avanzata, oltre gli 80 anni e persino tre ultranovantenni: ”Alcuni avevano necessità di assistenza psichiatrica, la maggior parte erano persone anziane e non affette da gravi patologie psichiatriche, potevano essere assistiti in Rsa o anche in una Ra”.
Infine il personale addetto: ”Ci diedero tutta la collaborazione – ha detto Marino – ma si comprendeva che erano persone non felici di lavorare in quell’ambiente”. Marino sia a margine della sue deposizione che all’inizio della stessa, si è detto stupito del fatto che la notifica fosse tornata indietro con la dicitura “sconosciuto all’indirizzo”.
“Vivo a 80 metri dal Senato ed ero affidato ai servizi di sicurezza e sottoposto a scorta” in riferimento alle minacce e ai proiettili ricevute da Marino quando era sindaco di Roma, minacce che coinvolgevano anche la sua famiglia, e che indussero l’allora prefetto di Roma Franco Gabrielli ad assegnargli la scorta, nel giugno del 2015.
”Ho vissuto un anno e mezzo di vita blindata – ha detto Marino – un anno e mezzo di vita blindata che hanno modificato il mio stile di vita”.