Chieti. “I fanghi cominciano a diventare pericolosi, facciamo i banditi”. Emerge da una delle intercettazioni dell’inchiesta denominata “Panta rei”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, quella che il comandante regionale del Corpo Forestale in Abruzzo, Ciro Lungo, definisce “la piena consapevolezza di chi operava in modo irregolare”.
Quattro persone sono finite agli arresti domiciliari: il presidente del Consorzio di bonifica
centro con sede a Chieti, Roberto Roberti, il responsabile tecnico dell’impianto, Tommaso Valerio, il capo settore Ecologia e ambiente dell’impianto, Andrea De Luca, e l’amministratore di un laboratorio di analisi, Stefano Storto. I dettagli dell’inchiesta, nella quale risultano indagate altre cinque persone, sono stati illustrati alla stampa presso il Palazzo di Giustizia a L’Aquila.
Il Consorzio di bonifica centro è stato posto sotto sequestro e affidato a un amministratore giudiziario, Andrea Colantonio, a causa del gran numero di attività illecite che si è accertato si svolgevano all’interno. Tra le ipotesi di reato, hanno detto i sostituti procuratori David Mancini e Antonietta Picardi, è stata contestata la “organizzazione finalizzata al traffico illecito di rifiuti”. Tra gli illeciti scoperti, lo sversamento di liquami nel fiume Pescara fino a tre volte in più dei livelli consentiti, lo smaltimento di fanghi in impianti a Fermo e Ferrara e la ricezione di rifiuti liquidi da Pisa in violazione alle autorizzazioni.
“Dalla Toscana viene fino a qua a portare quella roba perché nessuno la vuole, con l’arsenico a 50”, si ascolta in un’altra intercettazione. Segnalata anche la scarsa manutenzione che portava, come spiegato da Picardi, a “odori nauseabondi provenienti dalla struttura che sono stati denunciati dai cittadini”. Alla conferenza stampa è intervenuto il sostituto procuratore della direzionale nazionale antimafia (Dna), Antonio Laudati.
Lo sversamento di liquami nel fiume Pescara da parte del Consorzio di bonifica Centro di Chieti è “una delle risposte, ahimè tristemente banali, sui motivi dell’inquinamento del mare abruzzese e del mancato rispetto dell’ambiente che ci circonda”.
Parole del sostituto procuratore antimafia dell’Aquila David Mancini, pronunciate nella conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’inchiesta “Panta rei” della Direzione Distrettuale, svolta dai comandi provinciali della Forestale di Chieti e Pescara. Inchiesta nata, ha ricordato Antonietta Picardi, uno dei sostituti procuratori della Dda, a seguito di “esposti anonimi per gli odori nauseabondi che arrivavano da quell’impianto”.
Le indagini hanno appurato che nel fiume Pescara il Consorzio scaricava consapevolmente arsenico – impiegato nelle procedure di depurazione dei fanghi – in quantità superiore 12 volte ai limiti imposti dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia).
“Di fronte all’arsenico messo nel fiume bisognava intervenire per la tutela dell’incolumità pubblica e dell’ambiente” ha aggiunto il sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia (Dna), Antonio Laudati, secondo il quale “questo è un tipo di reati per cui c’è bisogno di una particolare sensibilità delle strutture pubbliche: sono reati vaghi, senza facce di vittime, ma che colpiscono un numero indeterminato di persone. E così ci ritroviamo mare inquinato, persone avvelenate, pesci ammazzati e ambiente distrutto”.
Traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, truffa ai danni dello Stato e abuso d’ufficio: una vasta operazione del Corpo Forestale dello Stato in Abruzzo, a seguito di una inchiesta sul traffico di rifiuti in Basilicata iniziata due anni fa, ha portato al sequestro del depuratore di Chieti Scalo, gestito dal Consorzio di Bonifica Centro, e all’arresto dei responsabili anche per il reato di inquinamento ambientale. Arresti consentiti anche dall’applicazione della nuova legge sugli ecoreati con l’introduzione dello specifico delitto di inquinamento ambientale.
“Quelle di oggi sono le prime ordinanze di custodia cautelare emesse grazie all’introduzione di questo specifico delitto nel codice penale – ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani -. E’ l’ennesima conferma dell’efficacia della legge sui delitti ambientali per reprimere e punire adeguatamente chi si macchia di crimini contro l’ambiente a danno di tutta la comunità. Questi primi arresti inoltre, anticipano di qualche giorno la prima sentenza della Corte di Cassazione sulla legge sugli ecoreati che dovrebbe essere pubblicata a breve. Si tratta di due nuovi tasselli fondamentali della piena applicazione di questa riforma di civiltà che il popolo inquinato e le imprese sane hanno aspettato per 21 lunghissimi anni”.
Solo nei primi 8 mesi monitorati (nell’arco temporale compreso tra il 1 giugno 2015 e il 31 gennaio 2016), infatti, grazie al contributo di tutte le forze dell’ordine sono stati accertati ben 118 casi di inquinamento ambientale (con la denuncia di 156 persone e 50 sequestri, per un valore di oltre 10 milioni di euro) e 30 di disastro ambientale (con la denuncia di 45 soggetti), che sono due dei più importanti delitti introdotti.”.
Secondo il dossier Ecomafia 2016 di Legambiente, l’Abruzzo è tra le regioni più colpite dall’illegalità nel ciclo dei rifiuti, con un trend in costante e preoccupante crescita. Con 266 infrazioni penali accertati in questo settore, il 5,2% sul totale nazionale, l’Abruzzo si piazza all’ottavo posto nella classifica regionale per numero di reati, cui vanno aggiunte 254 denunce, 8 arresti e 98 sequestri.
“Anche in vista del nuovo piano regionale dei rifiuti, è necessario garantire la tracciabilità degli stessi, con il controllo dei flussi sia in entrata che in uscita – ha dichiarato Luzio Nelli, della segreteria regionale di Legambiente – nonché la sicurezza di tutti gli impianti. Vogliamo ringraziare quindi le Forze dell’ordine per l’attività di indagine e repressione del fenomeno che stanno portando avanti”.