Sfirri, giudicato con il rito abbreviato, era accusato di omicidio colposo, calunnia e omissione di soccorso. Il pubblico ministero Rosaria Vecchi aveva chiesto per lui la condanna a 3 anni e mezzo di reclusione. I sospetti per la morte del barista di Atessa per giorni si concentrarono su un giovane di Montazzoli con cui la vittima aveva avuto un diverbio la sera precedente il ritrovamento del cadavere. Ed era stato lo stesso Sfirri ad indicare nel ragazzo – che finì in carcere – l’autore della feroce aggressione in cui Marcucci rimase ucciso. In realtà Sfirri si era inventato tutto per coprire un incidente: Angelo Marcucci, probabilmente a causa di un malore, si era sporto dal finestrino dell’auto in corsa su cui viaggiava e alla cui guida si trovava Sfirri, andando a sbattere violentemente il cranio sul tronco di un albero che si trovava sul ciglio della carreggiata. L’amico, invece, di portarlo in ospedale, lo abbandonò in macchina sotto casa dei genitori ed andò a dormire.