La Mobilitazione per l’Acqua del Gran Sasso, con una nota inviata al Ministero dell’Ambiente e alle Procure di Teramo e L’Aquila, smentisce carte alla mano quelle che definisce “le improvvide, infondate e fuorvianti indicazioni rilasciate dal dicastero al deputato Fabio Berardini circa l’adeguatezza dei documenti sulla sicurezza dei laboratori del Gran Sasso”, dicono.
“I laboratori sono un impianto a rischio di incidente rilevante sottoposto alla Direttiva Seveso ter (in ultimo il D.lgs.105/2015). Tre sono i documenti cardine sulla sicurezza: rapporto di sicurezza; piano di emergenza interna per i lavoratori; piano di emergenza esterno per la popolazione. Per quanto riguarda l’ispezione di fine 2017 che secondo la nota ministeriale avrebbe rilevato solo alcune migliorie da apportare, nella nostra lettera alleghiamo il documento ufficiale in cui risulta in maniera inequivocabile che gli ispettori trovarono il Piano di Emergenza Interno scaduto da un anno. Complessivamente al momento dell’ispezione citata dal Ministero: il Rapporto di Sicurezza non era mai stato approvato (da 11 anni); il Piano di Emergenza Esterno era scaduto (da 6 anni; ammesso e non concesso che quello approvato nel 2008 fosse regolare); il Piano di Emergenza Interno era scaduto (da 1 anno e mezzo).”
Tra l’altro nella nota avanziamo pesanti dubbi sul fatto che tale documento fosse approvabile dal CTR regionale in quanto: l’oggetto stesso del Piano, la presenza di 2.290 tonnellate di sostanze pericolose, è determinata da una vera e propria violazione delle norme di legge che impongono le distanze tra punti di captazione idropotabile e deposito di sostanze pericolose (Art.94 del T.U.A.), come ammesso in un verbale del 2014 dagli stessi laboratori. Cioè le sostanze non potevano essere stoccate lì. Poiché, come dovrebbe essere noto al Ministero, il Rapporto di Sicurezza deve affrontare tutte le questioni attinenti i potenziali impatti sulla popolazione e sull’ambiente, ci si chiede come sia possibile assicurare la sicurezza di un Sito Seveso dove la prima cosa a non essere a norma è proprio lo stoccaggio delle sostanze che determinano la sottoposizione alla Direttiva stessa; la non conformità dei laboratori fu certificata da una nota dell’Istituto Superiore di Sanità del 2013 a suo tempo inviata anche al Ministero dell’Ambiente; l’ARTA, in sede di relazione inviata alla Procura della Repubblica di Teramo, ha sollevato, con riferimenti tecnici inoppugnabili, pesantissimi problemi di ordine strutturale e della sicurezza sismica dei laboratori; gli stessi periti della Procura della Repubblica di Teramo hanno rimesso una durissima relazione sullo stato di insicurezza del sistema idrico. Risulta che la Procura abbia inviato la documentazione anche a Codesto Ministero; la Regione Abruzzo, dopo un lungo percorso di un tavolo tecnico con tutti gli attori, ha approvato lo scorso 25 gennaio una delibera in cui si chiedono 172 milioni di euro per mettere in sicurezza laboratori (per i quali servono 15 milioni di euro!), tunnel e acquedotti. Delibera che ci risulta essere stata inviata anche al Ministero dell’Ambiente; dagli accessi agli atti svolti si evidenziano omissioni e inadempienze a tutti i livelli anche su altre questioni assai rilevanti ai fini della sicurezza; la stato di insicurezza è certificato dal sequestro penale della rete acquedottistica che scorre sotto ai laboratori disposto su richiesta della Procura di Teramo a settembre 2018″.