Abruzzo, Consulta boccia la legge regionale sulle attività cinofile nei parchi

L’Aquila. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.4 della legge regionale n.11/2016 che autorizzava lo svolgimento di attività cinofile e cinotecniche, per almeno otto mesi l’anno, su una porzione del territorio rientrante nelle aree protette regionali, per “favorire lo sviluppo sostenibile delle aree interne attraverso l’incremento del turismo cinofilo”.

Secondo la Corte Costituzionale “la presenza, autorizzata con legge, di cani, estranei all’habitat tutelato, all’interno dei parchi e delle riserve regionali è ad un tempo lesiva degli obblighi comunitari e dei livelli minimi di tutela ambientale prescritti dal legislatore nazionale e contrasta, quindi, con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione”.

“Per costante orientamento di questa Corte – si legge nelle motivazioni della sentenza – l’addestramento dei cani va ricondotto alla materia della caccia, in quanto strumentale all’esercizio venatorio (sentenza n. 350 del 1991 e sentenza n. 303 del 2013), ed è sottoposto alla medesima disciplina.

Pertanto, la possibilità del suo svolgimento all’interno delle aree regionali protette – determinata dal fatto che l’art. 4 della legge reg. Abruzzo n. 11 del 2016 non ha escluso, dalle attività cinofile autorizzate, quelle riferite ai cani da caccia – viola il divieto previsto dall’art. 21 della legge n. 157 del 1992 e incide sulla tutela minima garantita dalla normativa nazionale di protezione della fauna”.

Per la Consulta “il vizio di illegittimità costituzionale della legge reg. Abruzzo n. 11 del 2016 non può essere superato dalla delimitazione temporale e spaziale delle attività, che sono autorizzate per otto mesi l’anno e su una quota parte dell’area protetta”.

“In primo luogo – spiega la Corte – l’argomento non è spendibile per la disposizione transitoria, che non contempla tali limitazioni.

In ogni caso, va considerato che il legislatore statale non distingue, all’interno delle aree protette, sottozone in relazione alla specifica attività esercitabile, ma prescrive un indistinto sistema di protezione, quale livello minimo di tutela ambientale, in cui è incluso il divieto di disturbo delle specie animali in tutta l’area, derogabile soltanto a seguito della valutazione dell’ente parco.

Peraltro – prosegue la Corte – tale divieto di disturbo, in riferimento ad alcuni animali protetti che popolano i parchi abruzzesi, quali il lupo, l’orso bruno e il camoscio, trova puntuale corrispondenza, senza possibilità di deroghe, nell’art. 8 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche)”.

 

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