Pescara. ‘La decisione del governo di fissare il referendum sulle trivellazioni in mare tra due mesi, e di non accogliere la richiesta di accorpare il referendum prossime alle elezioni amministrative, è l’ulteriore dimostrazione che questa consultazione disturba. Evidentemente l’esecutivo teme che gli italiani ne valutino fino in fondo la portata e si dimostra riluttante ad affrontare seriamente e democraticamente la questione energetica’.
Così Rossella Muroni, presidente di Legambiente, sul decreto per l’indizione del referendum popolare sulle trivelle in mare approvato la notte scorsa dal consiglio dei ministri che fissa la consultazione il 17 aprile.
‘Abbiamo chiesto un election day per motivi che riteniamo fondamentali. Si tratta di facilitare la partecipazione al voto dei cittadini, dare loro il tempo di informarsi e valutare il quesito, far risparmiare allo Stato oltre 300 milioni di euro di spesa che due date separate per le votazioni comportano. Non solo: va ricordato che, sulle trivelle, dinanzi alla Corte costituzionale pendono ancora due conflitti di attribuzione, la cui ammissibilità verrà decisa a breve. Qualora il giudizio della Corte dovesse essere positivo, il referendum potrebbe svolgersi su tre quesiti e non solo su uno. Questo elemento però il Governo non lo ha proprio considerato e adesso si rischia anche il paradosso che gli italiani, dopo il 17 aprile, potrebbero essere nuovamente chiamati a votare, sullo stesso tema, in una terza data, con ulteriore spreco di risorse.
Per questo ribadiamo la necessità di stabilire un election day in data congrua e ci appelliamo al presidente della Repubblica affinché non firmi il decreto, uscito dal Consiglio dei ministri di ieri sera, che stabilisce la data del 17 aprile’.
Questo invece il commento del WWF: ‘Il Governo ha evidentemente così tanta paura di quello che pensano i cittadini italiani che, pur di far mancare il quorum fissato per il referendum, è disposto a buttare via 300 milioni di euro – ha detto Dante Caserta – Vicepresidente del WWF Italia – . Il mancato accorpamento del referendum “no triv” con le elezioni amministrative è una scelta insostenibile sia dal punto della tutela ambientale, che da quello dei conti dello Stato.
Con 300 milioni di euro si potrebbe rendere più sicuro il nostro Paese agendo sul dissesto idrogeologico, si potrebbero disinquinare i nostri fiumi e i tanti tratti di mare oggi non balneabili, si potrebbe potenziare il trasporto pubblico e migliorare la vita e la salute di milioni di pendolari, si potrebbe finanziare il sistema delle aree naturali protette italiane… Si preferisce invece sprecare tutti questi soldi e obbligare i cittadini italiani a recarsi alle urne quattro volte nel giro di pochi mesi. La politica del Governo si conferma una politica “fossile”, nella sostanza e nei metodi’.