Una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Marco Giallini, attore candidato per sei volte ai David di Donatello, mostra il lato più intimo, la persona dietro al personaggio.
Quella popolarità, a cui ogni artista mira, e progetto comune di una vita insieme alla sua compagna Loredana, che per uno scherzo del destino arriva nel momento più doloroso della sua storia personale “farcela, diventare famoso, era il modo per tirare su i nostri figli, ce lo eravamo promessi”.
Una favola quella tra Giallini e la sua Loredana iniziata a soli 14 anni “lei era la donna mia, e io il suo uomo. Nel mondo quante ce ne possono stare di persone per te? Una”.
Loredana è morta tra le braccia di Marco una mattina d’estate mentre prendeva le valige per il mare “aveva un forte mal di testa, da due giorni, ma vai a pensare…le parlavo all’orecchio e mi sono accorto che parlavo da solo, ho maledetto Dio”.
Trent’anni sempre insieme, due figli Rocco e Diego, oggi un piccolo cuore tatuato sull’anulare come risposta alla domanda delle domande “Ti sei più innamorato?” – Ma di chi, ma perché” risponde l’attore mettendo in discussione la classica frase fatta che non colma un vuoto così grande perché “la vita va avanti” ma come recita nel film che lo ha reso più celebre, Rocco Schiavone, “se l’assenza si può sopportare è la perdita che fa male”. Rocco è stato anche il personaggio più difficile per Giannini, troppo simile a lui, troppo vicine le loro storie.
“Il dolore era troppo, non passa, ti dimentichi un po’ la voce” prosegue l’artista sistemando i giubbini in pelle tra le sedie e i vinili di casa, quei giubbini con cui va in moto, con cui geloso corse in discoteca a riprendere Loredana che, da ragazza, era andata a ballare con un altro “ero irascibile da giovane, ci siamo fatti delle litigate epocali, ma quanto era bello fare l’amore dopo, con lei che mi veniva contro per prendermi a cazzotti”.
Sono passati quasi dieci anni da quel maledetto giorno, eppure resta quel legame indissolubile “era mia madre, mia moglie, tutto. Ancora parlo con lei, per due anni il pensiero è stato vederla rientrare a casa, poi capisci che morire è prassi. Ma non a 40 anni, non tra le mie braccia. Non sono l’unico a cui è successo, fare a meno è questione di testa, anche fare a meno di capire cosa resta nella testa dei bambini, a cosa pensano
il giorno della festa della mamma. Adesso sono loro a dirmi ti amo”.
Giallini è un animo gentile, che non usa smodatamente i social “ma perché non ti posso incontrare per strada” ed è anche l’amico che “se c’è Giallini allora andiamo, ma se non c’è dove andiamo? E non è una bella cosa, è come se tutti avessero bisogno di te. Alla fine ti rompi e ti chiudi qua. Io sto in lockdown da quando è morta Loredana”.
Giallini è uno di quelli che nella vita non ha scelto la scorciatoia “ho fatto l’imbianchino 8 ore al giorno, la sera la scuola di teatro. Poi otto ore erano troppe e allora ho iniziato a portare il camion delle bibite”, e poi tanto teatro e il cinema col primo film a 35 anni “però sono esploso ancora dopo a 49. Lei ha visto solo l’inizio e le vennero le lacrime agli occhi” e ammette “piango ancora anche io, di nascosto, come tutti i veri
duri, perché se no, lo so, sarei morto”.