Covid19, stop alle discoteche. Il sindacato lavoratori: no a demonizzare il settore

Dopo lo stop deciso dal Governo da oggi ad attività di ballo che abbiano luogo in discoteche, sale da ballo e locali assimilati destinati all’intrattenimento o che si svolgono in lidi, stabilimenti balneari, spiagge attrezzate, spiagge libere, spazi comuni delle strutture ricettive o in altri luoghi aperti al pubblico, si registra la presa di posizione del Sils (Sindacato Italiano Lavoratori Spettacolo)

 

Abruzzo-Molise che attraverso il suo rappresentante Claudio Corna: “credo di poter dire che ci sia confusione perché non si capisce bene cosa si possa fare e cosa no. Registriamo che per la seconda volta dopo il Lockdown siamo costretti a fermarci.

 

 

Siamo i primi a dire che le regole e ancor di più le prescrizioni sanitarie come mascherine e distanziamento debbano essere sempre rispettate ma bisogna dire che la realtà è che oggi dj, camerieri, baristi, vocalist, personale della sicurezza e imprenditori si trovano a restare fermi a mega agosto nel pieno della stagione con investimenti già sostenuti e mancati guadagni. Registriamo una confusione e ancora una volta dobbiamo registrare come il nostro settore, quello della notte, del ballo venga ancora una volta demonizzato e preso come capro espiatorio, perché al primo campanello d’allarme il primo settore preso di mira è il nostro.

 

Il numero dei contagi è salito – aggiunge Claudio Corna – ma dire che questo sia collegato alle discoteche e locali da ballo all’aperto significa demonizzare un intero settore che in Italia impiega oltre 100mila lavoratori. Il danno subito è grande. L’ordinanza è fino al 7 settembre, sentiamo dire che le previsioni parlano di un settembre con il bel tempo, ma dopo cosa accadrà?”.

 

Sono circa mezzo milione gli italiani, di ogni fascia di età (giovani e meno giovani) che, ormai in piena estate, vorrebbero riprendere a scendere in pista, ed accanto a loro un’attività imprenditoriale, quella dei locali da ballo, con numeri alquanto considerevoli : 2.500 imprese, 50.000 dipendenti e un fatturato complessivo (per il 2019) di circa 5 miliardi di euro.
Davanti alla drammatica decisione, deliberata dal Ministro della Salute, di chiudere le sale da ballo e locali assimilati a tempo “indeterminato”, molti gestori del settore hanno deciso, tramite l’Associazione Giustitalia, di impugnare davanti ai Giudici Amministrativi dei propri Tribunali Amministrativi Regionali (competenti territorialmente), il Decreto ministeriale che sembra aver dimenticato completamente questo settore.
I gestori sono consapevoli che questo momento storico è alquanto particolare, ma prima o poi la vita riprenderà. E allora la gente si renderà conto che un terzo dei locali ha chiuso, forse per sempre, perché non ci sono aiuti dallo Stato.
Chi esercita professionalmente attività imprenditoriale da ballo sono mesi che non ha entrate, a parte una piccolissima parentesi di luglio, e deve (comunque) pagare gli affitti, i dipendenti, e ci sono famiglie che vivono su queste attività. E poi ci sono anche decine di migliaia di lavoratori stagionali che vivono di stipendi mensili ora azzerati: camerieri, dj, musicisti, addetti alla sicurezza, barman, personale dei locali, ballerini, imprese di spettacolo.
Tramite più ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali, patrocinati dagli Avvocati dell’Associazione Giustitalia, gli esercenti del settore chiedono alla Magistratura amministrativa l’annullamento dell’Ordinanza nella parte in cui impone la chiusura delle discoteche e dei locali da ballo all’aperto. Nulla da dire invece, ovviamente con tutte le dovute precauzioni sanitarie, per l’obbligo di indossare la mascherina anche mentre si balla dalle ore 18 alle ore 6. 
Oltretutto – e non è cosa da poco – prevedere una riapertura molto lontana nel tempo e la conseguente privazione di luoghi che  possono essere messi in sicurezza e controllati dalle F.O. potrebbe comportare il rischio concreto di “aggregazioni selvagge ed abusive” (soprattutto da parte dei ragazzi) in luoghi privati improvvisati senza alcuna sicurezza sanitaria e senza alcuna vigilanza.

 

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