Secondo il vicepresidente della Regione Abruzzo, sulle procedure per stanziare i finanziamenti europei da destinare al settore agro-pastorale, è fondamentale effettuare alcuni interventi ben mirati.
In particolare, afferma il vicepresidente con delega all’Agricoltura, Emanuele Imprudente, in chiaro riferimento all’indagine sulla mafia dei pascoli condotta dalla Guardia di Finanza di Pescara e coordinata dalla Procura Antimafia di L’Aquila, è essenziale recepire quanto prima le istanze di modifica del sistema dell’attribuzione e gestione dei titoli della Politica Agricola Comune (P.A.C.) e regolamentare la movimentazione del bestiame connessa ai pascoli, al fine di tutelare gli allevatori locali e lo sviluppo delle aree montane marginali.
Imprudente coglie altresì l’occasione per rammentare come già in passato la Regione abbia tentato di normare il settore, pur senza ottenere i risultati sperati, anche perché la norma di cui lo stesso Imprudente fu promotore, approvata poi dall’Assise regionale, fu impugnata dal Governo in carica allora.
Il vicepresidente, dopo aver rinnovato il suo plauso alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, ritiene oramai non più procrastinabile un intervento che riequilibri l’intero sistema.
In particolare, prosegue Imprudente, “è auspicabile che i criteri per l’assegnazione dei contributi comunitari a sostegno dell’agricoltura premino il merito, il sacrificio, sostengano coloro che sui terreni lavorano da generazioni e continuano a lavorarci”.
L’obiettivo, afferma ancora il vicepresidente, deve essere quello di tutelare i singoli territori e sostenere gli allevatori onesti, “intervenendo su un sistema che allo stato attuale appare sbilanciato e troppo permeabile alle organizzazioni criminali”, e che consente a società fittizie di diventare destinatarie di finanziamenti.
Il vicepresidente rammenta poi come nell’aprile del 2020 fu promotore di una normativa che avesse lo scopo di concedere l’utilizzo dei pascoli sui terreni di uso civico prioritariamente agli allevatori residenti, e soprattutto a coloro che avevano storicamente vissuto e lavorato su tali terre per generazioni.
“Il dettato della norma prevedeva tariffe accessibili e uniformi per tutti gli allevatori residenti, evitando di escludere chi non poteva permettersi di partecipare a un’asta con tariffe elevate. Solo dopo aver soddisfatto la domanda locale, le concessioni avrebbero potuto essere estese ai comuni vicini, alla provincia, alla regione e, in ultima istanza, ai richiedenti provenienti da fuori zona” – ricordava poi Imprudente.
Tuttavia, la norma fu impugnata dal governo allora in carica, ritenuta illegittima non sul merito ma poiché la materia che disciplina le terre di uso civico è di competenza statale e non regionale.