“Assolutamente inadeguato ed eccessivamente limitante risulterebbe introdurre, in un territorio come quello abruzzese, le cosiddette aree contigue”: queste dichiarazioni del consigliere regionale Sandro Mariani della Lista Abruzzo in Comune, diffuse nei giorni scorsi, offrono lo spunto per una riflessione.
È innanzitutto paradossale che un rappresentante delle Istituzioni chieda la non applicazione di una legge. L’istituzione delle “aree contigue” è prevista infatti dalla legge quadro sulle aree naturali protette del 1991 e quindi dovrebbero essere operative da quasi 30 anni.
La lobby dei cacciatori e la totale accondiscendenza della classe politica regionale alle loro richieste hanno di fatto impedito l’applicazione di questo strumento, fondamentale per assicurare una corretta gestione della fauna (ma non solo) nelle fasce di rispetto intorno ai tre grandi parchi nazionali presenti nella nostra regione. All’interno delle aree contigue, infatti, possono andare a caccia solo i residenti. Si tratta di una misura importante dal punto di vista faunistico perché limita la pressione venatoria sulle aree a margine di quelle tutelate, ma anche auspicata dai cacciatori dell’entroterra che vedono in qualche modo compensato il fatto che le aree protette, dove la caccia è vietata, si trovano quasi tutte nelle zone interne. Chiederne la non istituzione vuol dire cercare di tutelare gli interessi dei cacciatori della costa e delle città che evidentemente per qualcuno rappresentano un target elettorale interessante.
Il consigliere Mariani racconta poi dei cinghiali che mangiano nei bidoni di immondizia dei centri urbani e da questo fa discendere l’esigenza di aumentarne ancora di più la caccia. Nulla di più sbagliato come dimostrano i fatti e le ricerche scientifiche condotte in tutta Europa. I cacciatori sono infatti i principali responsabili dell’aumento del numero dei cinghiali, sia perché sono stati coloro che li hanno introdotti in gran parte d’Italia a scopo venatorio (peraltro facendoli arrivare dall’est Europa e immettendoli senza alcun protocollo scientifico), sia perché è proprio l’attività venatoria a creare dispersione nei branchi con il conseguente aumento del numero dei nati ogni anno.
Il problema dei cinghiali, che riguarda effettivamente alcune aree della nostra regione, non si risolve aumentando la caccia, ma anzi limitandola e procedendo caso mai a catture mirate che vadano a ridurre i danni alle colture e a incidere direttamente sulle dinamiche riproduttive. Del resto non si capisce di quanto si voglia ulteriormente aumentare l’attività venatoria sul cinghiale visto che ormai tra la stagione ordinaria e la gestione della caccia di selezione del cosiddetto selecontrollo, che tutto è tranne che un controllo selezionato, il cinghiale viene cacciato praticamente tutto l’anno.
In ultimo una cosa il consigliere Mariani la dice giusta: l’Abruzzo ha bisogno di un piano faunistico-venatorio. Fa piacere che anche il consigliere Mariani se ne sia accorto. Aggiungiamo solamente che sarebbe stato sicuramente più utile se il consigliere Mariani lo avesse detto nei 5 anni in cui è stato al governo della Regione e se lo avesse fatto approvare quando era nelle sue facoltà. Detto questo il WWF auspica che il nuovo piano nasca nell’interesse del patrimonio faunistico regionale, che appartiene a tutti, e non nell’interesse dei cacciatori. Se la Giunta regionale vorrà lavorare nella direzione dell’interesse collettivo e non a tutela di quello particolare, come WWF saremo pronti a dare il nostro contribuito al confronto.