Tra giugno e settembre le imprese artigiane abruzzesi sono diminuite di 108 unità, registrando il peggior risultato degli ultimi dieci anni, e una performance in percentuale tre volte peggiore della media nazionale: -0,31% contro -0,13%.
Eppure, commenta Ronci, “le variazioni nelle province abruzzesi non sono state omogenee. Infatti, mentre le province dell’Aquila (-44), di Teramo (-32) e Chieti (-40) hanno subito perdite molto pesanti, quella di Pescara, al contrario, viaggia in lieve controtendenza, con un incremento di 8 unità”. Un risultato legato alla crescita delle industrie manifatturiere (3 in più), ad una minor caduta del settore delle costruzioni (7 unità in meno) ed all’aumento delle piccole imprese dei servizi, cresciute di 11 unità a fronte della caduta delle altre province.
I cattivi risultati del terzo trimestre dell’anno finiscono, inevitabilmente, per aggravare la caduta registrata da gennaio: all’appello mancano infatti ben 849 imprese artigiane, con flessioni particolarmente vistose nel Teatino (-285), nel Teramano (-255) e nell’Aquilano (-201), ma anche nel Pescarese (-108), seppure meno accentuate. Una crisi, quella dell’artigianato, nemmeno lontanamente paragonabile alle difficoltà che pure vivono le imprese in generale.
Tra i settori, dice ancora Ronci, “nei primi nove mesi del 2013 le imprese artigiane hanno subito variazioni negative consistenti nelle costruzioni (-503 unità), l’industria (-181, con cadute pesanti nell’abbigliamento e nel legno), nei trasporti (-58), i servizi (-118), le riparazioni di auto e apparecchi per la casa (-52), con l’agricoltura costante e la ristorazione che cresce di 9 unità”.
A destare ancora più impressione, finendo per comporre un quadro davvero a tinte fosche, il dato che sintetizza l’andamento dell’artigianato abruzzese tra la fine del 2010 e lo scorso settembre: un autentico bollettino di guerra, se è vero che in soli due anni e nove mesi si è verificata una flessione nel settore dell’artigianato di 2.295 imprese attive e di ben 6mila occupati. Mai così male, se è vero che per la prima volta in undici anni il numero delle imprese attive è sceso sotto la soglia delle 34mila unità.
“Le cifre” afferma il direttore della Cna regionale, Graziano Di Costanzo “confermano quanto andiamo dicendo da tre anni a questa parte: ovvero che l’artigianato, per un decennio motore dello sviluppo abruzzese, con tassi di crescita più alti rispetto a quelli nazionali, ha esaurito la sua spinta propulsiva. Addirittura, senza l’artigianato, il saldo generale tra iscrizioni e cancellazioni risulterebbe positivo: il problema, insomma, si annida proprio qui. Colpisce il fatto che, nell’ultimo triennio, i dati negativi della nostra regione siano largamente peggiori della media nazionale. Desta impressione, in particolare, la caduta verticale del comparto delle costruzioni, che da solo rappresenta il 60% del totale del saldo negativo. Uno scandalo, alla luce del fatto che perfino il territorio aquilano, ovvero l’area interessata dalla presenza del più grande cantiere edile d’Europa, per la ricostruzione post-sisma, veda una imponente flessione delle imprese di costruzioni. Insomma, occorre davvero cambiare passo nella ricostruzione della città e dell’intero cratere sismico”.
A detta di Di Costanzo, “serve una decisa accelerazione nella capacità di erogare i fondi pubblici destinati alle imprese da parte della Regione, riformando drasticamente la macchina burocratica, e premiando merito e competenze. Un modo, questo, che permetterebbe di alleggerire la pesante stretta creditizia operata dal sistema bancario negli ultimi anni. Resta intatta la necessità di abbattere la pressione fiscale, partendo dalle addizionali regionali su Irpef e Irap, per finire alle aliquote applicate, dai Comuni, sull’Imu per le attività produttive”.