Era stato paventato come il primo passo verso la caccia a cervi e caprioli, animali che vivono protetti nei parchi nazionali della regione. La delibera approvata dalla giunta regionale lo scorso 1 settembre è denominata “Indirizzi generali di gestione delle popolazioni di cinghiale e principi generali per la gestione delle popolazione di cervi e caprioli”, ma è stata vista dal fronte ambientalista come un rapido avvicinamento dell’indice al grilletto di quei fucili pronti a sparare sui ‘bambi’. Interpretazione diversa da quella dell’assessore regionale Mauro Febbo, che aveva stemperato il clima affermando: “Nessun permesso ad abbattere cervi e caprioli, solo una regolamentazione per gestire in modo più omogeneo delle specie selvatiche ed equilibrare il rapporto tra queste e le coltivazioni agricole”. Più che un ‘via libera’ alla caccia, Febbo avrebbe pensato ad “un censimento, di cui c’è urgenza, e uno studio appropriato delle popolazioni di questi animali che notoriamente provocano danni incalcolabili alle coltivazioni, nei boschi, ai coltivatori e, in alcuni casi, sono anche portatori di malattie che devono essere individuate e aggredite”.
Per non rischiare, il consigliere di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo, raccogliendo le istanze degli animalisti e degli ambientalisti, ha contrattaccato la decisione della giunta sul piano burocratico: con un ricorso sottoscritto da Pd, Sel, Verdi e Idv si è rivolto al collegio per le garanzie statuarie della Regione.
Oggi il pronunciamento collegiale, che ha rilevato il contrasto della delibera con l’articolo 13 dello statuto dell’ente regionale: “La delibera si configura come un atto regolamentare generale e pertanto la sua emanazione è di competenza del consiglio regionale”. Tradotto: sulla materia deve pronunciarsi il consiglio. Postille circa la competenza dell’attività legislativa poco importano a cervi, caprioli, e ai meno considerati cinghiali: il mirino delle doppiette dovrà rimanere fermo su altri bersagli.
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