Montesilvano. Il dibattito sulla proposta del sindaco Di Mattia per l’istituzione dei cosiddetti box del sesso solleva la considerazione di due lettori, montesilvanesi residenti a Bologna circa i riflessi che il fenomeno della prostituzione ha sul turismo. Ma anche l’aspetto morale della vicenda rievoca la legge Merlin.
Negli ultimi giorni, si è assistito ad un pubblico dibattito, al quale hanno preso parte cittadini di ogni convinzione sociale, politica, e soprattutto morale, circa la possibilità di una riapertura delle case chiuse, abolite nel 1958 dalla legge Merlin. In particolare, al centro della discussione sono stati posti problemi legati alla risonanza di una simile proposta sul turismo cittadino, alla questione morale che il fenomeno della prostituzione porta con sé.
A questo punto, ci sembra necessario esprimere le nostre opinioni sulla materia.
Anzitutto, la più grande attrazione della città è rappresentata dal mare, dal quale derivano i principali profitti legati all’attività di balneazione. Ponendosi nella prospettiva di un turista, quello che si apre davanti ai nostri occhi è uno scenario urbano macchiato dall’esercizio sregolato della prostituzione.
Oltre al punto di vista del turista, non và sottovalutata la gravità del problema posta agli occhi del cittadino montesilvanese, costretto a convivere spesso con la paura del semplice percorrere il lungomare in tarda serata.
Il reale problema del fenomeno dell’esercizio della prostituzione con simili modalità, è tuttavia legato alla malavita che esso porta seco, di conseguenza l’apertura di queste strutture non potrebbe che giovare alla pubblica immagine della città a livello locale e nazionale.
Per quanto riguarda la questione morale, l’apertura delle suddette case chiuse, fornirebbe un valido strumento per combattere l’attività dello “sfruttamento della prostituzione”; è infatti quest’ultimo l’aspetto del fenomeno che il nostro diritto penale tende a condannare (art. 3 commi 4,5,6,7,8 – legge 75, 20 febbraio 1958 – non soggetti ad abrogazione). Attraverso sostegno psicologico e sanitario (priorità assoluta di cui è necessario tenere conto nell’ eventuale realizzazione dei “sex box”), la donna che a questo punto si sentirà in condizione di poter scegliere liberamente la propria identità civile, poiché non più sottoposta a violenza psicologica e fisica da parte dello sfruttatore in questione, solo allora avrà raggiunto il proprio status di donna libera e potrà accingersi al percorso di ricerca della propria moralità.
In conclusione, se una società, che non vuole vedere, si prefigge l’obbiettivo di guidare una donna, anch’essa cieca, sulla via del buon costume, non può che condurla verso il fosso dell’inettitudine.