Mobilità passiva e scelte non funzionali nella Sanità. Lettera aperta

mediciLa mia vicenda, purtroppo, è assai simile a quella occorsa a tante altre persone che, come me, hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significhi mobilità passiva e carenza di supporto da parte della Asl , ma che pure hanno incontrato sulla loro strada professionisti attenti, seri e preparati.

La mia odissea inizia il 3 agosto 2011, quando vengo operata all’ospedale di Atri. Tredici giorni dopo, il 20 agosto, a causa di complicazioni verificatesi, si rende necessario il mio trasferimento al nosocomio di Avezzano, dal quale vengo dimessa, dopo aver subito un nuovo intervento, il 7 settembre. Ma i guai non sono finiti. Difatti, sussistendo problemi che gli interventi non hanno risolto, semmai accentuato, sono costretta, il 1 aprile 2012, a rivolgermi al pronto soccorso dell’ospedale di Teramo che dispone il mio ricovero d’urgenza nel reparto di urologia. Ed è qui che, per fortuna, conosco il professor Carlo Vicentini il quale, preso atto della mia situazione, con un quadro clinico preoccupante, e certamente più grave rispetto alla situazione iniziale, interviene con sollecitudine e competenza disponendo una nefrostomia. Superata così l’emergenza, il 23 maggio sempre del 2012 entro per l’ennesima volta, come programmato, in sala operatoria, e vi rimango ben 8 ore, trattandosi di un intervento delicatissimo grazie al quale si riparano, per così dire, i danni causati dai precedenti interventi.

Questi i fatti e le date. Questo il volto della mobilità passiva. Questa la fisionomia della malasanità ma anche di un professionista ripeto serio, attento e preparato quale il professor Vicentini. Leggo spesso di problemi legati alla sanità. E questa volta ho deciso, evitando di tacere, di parlare del mio caso. Uno tra i tanti ma credo emblematico di come in questo nevralgico settore, quello della sanità, vi siano tante ombre ma anche qualche luce.

 

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