Le autorità italiane, secondo l’esecutivo europeo, devono ancora “vigilare affinché in 80 località sulle 109” interessate da quella sentenza “le acque reflue urbane siano raccolte e trattate in modo adeguato, al fine di prevenire gravi rischi per la salute umana e l’ambiente”. La Commissione europea giustifica la sua decisione di deferire nuovamente l’Italia alla Corte di giustizia europea in quanto “a distanza di quattro anni dalla prima sentenza la questione non è ancora stata affrontata in 80 località, che contano oltre 6 milioni di abitanti. Le regioni interessate sono prima di tutto la Sicilia (51 località non a norma), poi la Calabria (13), la Campania (7), la Puglia (3), la Liguria (3), il Friuli Venezia Giulia (2) e l’ Abruzzo (1).
La mancanza di adeguati sistemi di raccolta e trattamento in questi 80 zone – afferma la Commissione Ue – “pone rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l’ambiente marino”.
Infatti, secondo quanto prevede la direttiva europea (la 271 del 1991), gli Stati membri sono tenuti ad assicurarsi che città, centri urbani e altri insediamenti raccolgano e trattino in modo adeguato le proprie acque reflue urbane. Quelle non trattate possono essere contaminate da batteri e virus nocivi e rappresentano pertanto un rischio per la salute pubblica. Tra l’altro – sottolinea Bruxelles – contengono nutrienti come l’azoto e il fosforo, che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita.