Pescara. “In concomitanza con la Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi, dove i governi del mondo stanno lavorando su una visione di eliminare gradualmente l’uso di combustibili fossili e abbracciare il futuro delle energie rinnovabili, Legambiente con la rete la rete One Adriatic e altre associazioni ha inviato una lettera al presidente della Commissione europea, al presidente del Parlamento europeo, ai Commissari e Ministri dei paesi interessati, invitandoli a esercitare la loro autorità per proteggere il mare Adriatico, il suo ecosistema e le persone la cui sussistenza dipende dal porre fine a petrolio e gas”.
Inizia così la lettera inviata da Legambiente con la rete One Adriatic a tutti i ministri dell’Ambiente, alla Commissione europea e al Parlamento Europeo per chiedere di fermare le trivellazioni in Adriatico.
“La decisione di alcuni dei nostri governi nazionali – prosegue la lettera – a investire in nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi è frutto di una mentalità ristretta, di breve durata e anacronistica. Non prende in considerazione l’importanza economica globale delle fonti di energia rinnovabili e le politiche per superare la dipendenza dai combustibili fossili, che comportano: ricerca, innovazione, nuovi posti di lavoro e sostenibilità.
Inoltre, questa scelta non prende in considerazione l’impatto negativo sugli altri settori economici che vivono e si sviluppano dal mare, ad esempio attività turistiche e di pesca. Riteniamo che queste attività che costituiscono la vera ricchezza dei nostri territori e i reali mestieri di un’economia sostenibile, meritino la giusta spinta e il sostegno da parte dei governi internazionali.
Il mare Adriatico è un ecosistema molto importante ed estremamente fragile che deve essere tutelato e valorizzato. Questa zona è messa alla prova con 53 concessioni già operanti per l’estrazione di gas e petrolio in acque italiane e croate, composte da 145 piattaforme offshore con oltre 400 pozzi. A questi numeri si aggiungono 72 aree in cui si intende iniziare la ricerca e lo sfruttamento, in una vasta area di 100 mila chilometri quadrati.
Allo stesso modo, i diversi modi in cui molti dei paesi dell’Adriatico stanno cercando di riattivare e rilasciare molteplici attività di ricerca o della coltivazione di idrocarburi, non tengono conto dei principi delineati da alcune importanti direttive europee, come quella sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi (2013/30/UE), la strategia marina (2008/56/UE) o quella che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo (2014/8 / UE).
La 2013/30/UE concentra l’attenzione sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Anche se la direttiva deriva da alcuni principi di riferimento, tra cui quella di incidenti rilevanti connessi all’estrazione di idrocarburi in mare che possono portare ad avere conseguenze gravi e irreversibili sull’ecosistema marino e costiero, ricorda l’importanza di valutare l’impatto delle fasi iniziali della ricerca. Pertanto, si prevede una serie di valutazioni e controlli da mettere in atto durante le fasi di autorizzazione e realizzazione, nonché di sicurezza e le misure per le attività esistenti, anche di natura transfrontaliera, se le conseguenze possono interessare più paesi, come nel caso del Mar Adriatico.
La 2008/56/CE, direttiva marina quadro sulla strategia, mira a conseguire un buono stato dell’ambiente marino al più tardi entro il 2020, o “stato ecologico delle acque marine tale per cui queste preservano la diversità ecologica e la vitalità di mari e oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e l’utilizzo dell’ambiente marino resta ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni attuali e future”.
Inoltre, la direttiva prevede anche la valutazione dell’impatto cumulativo di tutte le attività per la gestione integrata del sistema marino costiero.
La 2014/89/UE per la pianificazione dello spazio marittimo (MSPD), parla di un “un processo attraverso il quale gli Stati membri interessati di analizzare e organizzare le attività umane in mare per assicurare che siano il più possibile efficienti e sostenibili”; il “processo di pianificazione dello spazio marittimo”; un processo mediante il quale le autorità competenti dello Stato membro analizzino e organizzino le attività umane nelle zone marine per conseguire obiettivi ecologici, economici e sociali; sottolinea l’importanza di maggiore cooperazione transfrontaliera, che coinvolge “i soggetti interessati in maniera trasparente nella gestione delle attività marittime.”
Alla luce di tutto questo e nell’interesse della comunità si chiede di farsi promotori di azioni concrete per proteggere il Mar Adriatico, al di là dei limiti territoriali nazionali, e si impegnarsi a:
– Fermare l’estrazione del petrolio, e tutte le ricerche e prospezione relative a esso, nel mare Adriatico e scegliere un modello economico, sociale e ambientale diverso;
– Per tutti i casi chiedere l’apertura transfrontaliera della procedura di VIA, che coinvolga tutti i paesi costieri, per valutare l’impatto cumulativo delle attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi. Procedura ad oggi intrapreso soltanto dalla Croazia;
– Promuovere una economia libera dal fossile e sostenibile, efficiente e rinnovabile per il futuro energetico, aprendo prospettive di nuovi settori industriali con impatti positivi significativi sull’occupazione, oltre che per l’ambiente;
– Proteggere la ricca biodiversità marina dell’Adriatico, rilanciare l’economia legata alla pesca sostenibile che evita lo sfruttamento delle specie più impoverite e la promozione di un nuovo concetto di turismo legato al mare che prende la sostenibilità ambientale come il suo orgoglio e la forza”.
“E’ ormai evidente che ogni scelta che punta a uno scenario opposto a quanto richiesto è antistorica – dichiara Giuseppe Di Marco – ieri dal tavolo di confronto con Assomineraria a Pescara è palesemente emerso quanto la difesa ostinata di un’economia novecentesca sia solo il frutto di un’incapacità di uscire dalla crisi e dal bisogno di mantenere in vita un settore che ormai non ha più numeri. Ormai questo pezzo di industria è il fantasma di se stesso e ci aspettiamo che Confindustria dia finalmente spazio alle sue aziende e a quelle abruzzesi che testimoniano un futuro fatto di green economy”.