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Italia: storie di chi fugge di chi resta

Quante volte sentiamo dire che la ricerca scientifica in Italia è ferma al palo e che i nostri giovani farebbero meglio a emigrare all’estero per tentare la carriera di ricercatori? Le cose non vanno sempre in questo modo. L’Agenzia Spaziale Europea ha promosso una competizione tra giovani studenti universitari e ricercatori per la realizzazione di progetti basati sui brevetti dell’Agenzia. Il concorso si chiama ESA’s S2UN Challenge e un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino si è classificato secondo. Il team PIER, Petroleum Innovative Enviromental Remediation, ha presentato un progetto davvero interessante: uno speciale sistema in grado di contenere gli sversamenti di petrolio nell’ambiente.
I giovani ricercatori del team PIER, utilizzandoil brevetto ESA (A deployable tensegrity structure, especially for space application), hanno riconsiderato l’applicazione di una struttura dispiegabile rigida, che non utilizza giunti meccanici (impiegata attualmente in campo aereospaziale come antenna), in maniera tale da utilizzarla come anello di contenimento da caricare a bordo delle navi per limitare l’espansione in mare di un eventuale sversamento di petrolio.

Abbiamo intervistato il team PIER per sapere come la pensano su diversi argomenti di attualità.

Si dice sempre che per fare ricerca bisogna andare all’estero: voi avete dimostrato che si possono raggiungere risultati di eccellenza anche restando in Italia. Qual è il vostro segreto e perché avete deciso di restare?

Beppe: Non penso che abbiamo segreti particolari. Io personalmente sono rimasto in Italia perché è un Paese nel quale si vive abbastanza bene (pensiamo al clima, alla cultura, alla cucina…) e perché mi era stata offerta un’opportunità di lavoro e crescita professionale che reputo molto interessante all’interno del Politecnico di Torino. Ho nel mio bagaglio personale un’esperienza all’estero, e sicuramente tornerò a lavorare all’estero ancora per diversi mesi se non anni. Ma l’Italia è ancora un Paese dove si può fare molto, soprattutto per i giovani, ed è bello tornare per mettere a disposizione ciò che si è imparato fuori. Credo che un ragionamento simile valga per i miei colleghi.
L’Università italiana è una struttura, ad oggi, in crisi, alla quale mancano continuamente fondi e nella quale spesso non è presente una struttura meritocratica. Speriamo che questo Governo e i successori si prendano carico di questa situazione, magari lanciando un piano per la “Buona Università” a seguito di quello per la “Buona Scuola”.

Francesco: Sono sicuramente d’accordo con Beppe. Andare all’estero è fondamentale anche solo per conoscere nuovi modelli di pensiero radicati in culture diverse dalla nostra, e per capire i limiti del nostro modo di pensare. Detto questo, mi piace molto stare in Italia per la qualità della vita, e ho avuto l’opportunità di lavorare all’interno della mia università conoscendo persone preparate che lavorano intensamente, anche per migliorare la situazione della ricerca italiana. Mi auguro però che lo scenario migliori, anche perché il nostro capitale intellettuale e creativo è la prima cosa su cui puntare in un mondo dove l’automazione assume un ruolo sempre più rilevante.

Pier: Il sistema universitario italiano, per quanto affetto da problemi e mancanze, è ancora in grado di formare menti creative e tecnicamente preparate. Durante il mio Erasmus a Stoccolma ho avuto la fortuna di confrontarmi con studenti provenienti da tutto il mondo e ho potuto apprezzare la formazione che ho ricevuto nel mio Paese. Rimanere significa creare valore in Italia e dare il proprio contributo (piccolo) per cambiare le cose.

Matte: “L’italiano medio” ha bisogno di conoscere il mondo che lo circonda per migliorare se stesso e il Paese Italia in cui vive. Per fortuna le opportunità di passare dei periodi all’estero sono aumentate negli ultimi anni, seguendo l’esempio di altri nostri “vicini” europei che da tempo adottano questa politica universitaria. La formazione scolastica dell’italiano, se preparata adeguatamente, non può altro che essere motivo di orgoglio e di vanto.

Secondo voi l’innovazione tecnologica e scientifica può far progredire il settore energetico in termini di sicurezza e impatto ambientale?
Beppe: Sicuramente sì. La nostra applicazione, così come tante altre, è un esempio di una buona pratica che può essere messa in campo per tutelare l’ambiente marino soprattutto in quelle situazioni nelle quali è quasi impossibile evitare modesti riversamenti di inquinanti in mare (come nel caso di lavaggi di stive o di operazioni di imbarco-sbarco greggio). La ricerca può spingere per realizzare ancora altri dispositivi, sempre più facili da trasportare e da utilizzare, che potrebbero un giorno essere resi obbligatori per legge (o comunque fortemente incentivati) per tutte le grandi navi e per le navi petrolifere.

Francesco: Certamente si. Un maggiore flusso di risorse verso le attività di ricerca può sicuramente catalizzare nuove scoperte sia in campo tecnologico che scientifico. In un mondo sempre più affamato di energia è spesso difficile trovare soluzioni attuali che riescano a dare una risposta concreta a questa domanda, da un punto di vista economico e ambientale. Io penso che la ricerca sia candidata a risolvere questi problemi e che difficilmente si possa sopravvivere confidando solo nelle soluzioni attuali.

Matte: Sicuramente si. L’innovazione di per se’, anche sotto altre forme, porta al progresso. La spinta di innovazione in particolare nel settore energetico in relazione con l’impatto ambientale, lo sfruttamento adeguato delle risorse presenti sul territorio e la relativa sicurezza possono essere i motori di spinta dell’economia italiana. Dobbiamo fortemente credere che l’investimento in innovazione sia fondamentale.

3. Voi siete riusciti ad applicare con successo tecnologie che appartengono all’ambito aerospaziale al settore degli idrocarburi. Secondo voi, in Italia il modello da voi brevettato avrà successo o la conformazione idrogeologica dei nostri fondali esclude pericoli di eventuali incidenti, come il disastro del Messico?

Beppe: Ci teniamo innanzitutto a precisare che stiamo al momento ancora valutando l’opportunità di brevettare parte dei risultati ottenuti tramite il nostro progetto, e che nessun brevetto è già stato acquisito. Per come abbiamo ideato noi l’applicazione, è specificatamente pensata per contenere perdite modeste, derivanti soprattutto da normali operazioni in spazi controllati, anche se può essere utilizzata anche in casi di emergenza.

Matte: Il disastro del Messico ha generato con un solo evento un inquinamento marittimo senza precedenti. Che l’evento inquinante sia volontario o no, il nostro dispositivo potrebbe essere applicato ogni qual volta si voglia arginare un agente inquinante che mette a rischio l’ecosistema naturale circostante.

L’Abruzzo, come tante altre Regioni d’Italia, protesta per richieste di trivellazione in Adriatico. Perché l’Abruzzo, in particolare, e l’Italia, in generale, soffre così tanto della Sindrome Nimby (Not in my backyard, ndr)? Cosa si deve rispondere a chi sostiene che l’estrazione di petrolio e gas sia un danno e non un’opportunità per il nostro Paese?

Pier: Gli investimenti e il progresso tecnologico nel settore delle energie rinnovabili sono stati molto importanti negli ultimi decenni, ma la nostra società fa ancora largo affidamento sui combustibili fossili.
L’età dell’oro nero è una fase della storia dell’uomo destinata sicuramente a concludersi, ma non sarà la nostra generazione a vederne la fine.

Beppe: Io penso che viviamo in un Paese particolare, dove si sente così tanto parlare di corruzione, malaffare, mafia, e cose che non vanno, che giustamente si crede che ogni progetto che venga iniziato e finanziato sarà poi portato avanti da persone di malaffare, che non si farebbero scrupoli pur di aumentare i propri guadagni. Sicuramente la gente si oppone, come si è opposta al MUOS in Sicilia o a diversi inceneritori in giro per il Paese. Io credo comunque che una tale paura, seppur concreta, non possa giustificare in alcun modo il blocco di attività economiche che potrebbero portare dei benefici al Paese. È chiaro che bisognerebbe aumentare al massimo la vigilanza nei confronti di chi andrà poi ad effettuare le opere in concreto, e prendere tutte le precauzioni necessarie per salvaguardare i lavoratori, gli abitanti delle zone limitrofe e l’ambiente.

Matte: La sindrome Nimby è ben diffusa sotto ogni forma in tutta Italia. Son dell’idea che sono necessari i compromessi. A fronte di un beneficio che può scaturire dalla trivellazione del fondale marittimo non ci può essere un danno irreparabile e soprattutto continuativo all’ecosistema. Operazioni di questo tipo sono state già eseguite in giro per il Mondo con impatti ambientali ridottissimi. Benissimo, prendiamo esempio da queste opere di ingegneria e mettiamo da parte l’opportunismo e la voglia sfrenata di arricchirsi il più velocemente possibile a scapito di tutto il resto.

Francesco: Parlo principalmente da cittadino e da non esperto del settore. Penso che questo periodo ci sia una maggiore necessità di energia, soprattutto per le attività industriali e che, purtroppo, le energie rinnovabili non siano ancora mature per la sostituzione dei combustibili fossili. Detto questo, come ogni persona di buon senso, il mio auspicio è che la ricerca sia supportata maggiormente soprattutto nella direzione di nuove soluzioni con una maggiore efficienza energetica e un minimo, se non nullo, impatto ambientale. Per quanto riguarda le trivellazioni del fondale marittimo, non ho le competenze per discutere del possibile impatto ambientale risultante da tali pratiche e quindi mi auguro un forte senso di responsabilità da parte dei nostri governanti e di coloro che lavorano in questo ambito.

Diego Vitali blogger goccediverità.it