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La legge regionale abruzzese sulla centrale di compressione a gas è illegittima

L’Aquila. No a limitazioni sul territorio regionale per la realizzazione di impianti di interesse nazionale, come i metanodotti. La Corte Costituzionale ha bocciato la legge della Regione Abruzzo che disciplinava la localizzazione di centrali di compressione del gas in aree sismiche. In provincia dell’Aquila, a Sulmona, dovrebbe sorgere una centrale di compressione del gas che fa parte del metanodotto Snam Brindisi-Minerbio.

In particolare è stato dichiarato illegittimo l’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 7 giugno 2013, n. 1, che così disponeva: “La localizzazione e la realizzazione di centrali di compressione a gas è consentita al di fuori delle aree sismiche classificate di prima categoria, ai sensi della vigente normativa statale, nel rispetto delle vigenti norme e procedure di legge, previo studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e litologiche di dettaglio”.

“Che la legge regionale fosse illegittima – dichiara Enzo Di Salvatore, cofondatore del coordinamento nazionale no triv e candidato alle europee con L’Altra Europa con Tsipras – lo avevo già sostenuto e avevo consigliato alcuni consiglieri della Regione di non approvarla. Del resto, lo scorso anno la Corte era già intervenuta sul problema, bocciando un’altra legge abruzzese, con la quale si introduceva l’incompatibilità tra localizzazione degli impianti di compressione a gas connessi alla realizzazione dei gasdotti e aree sismiche classificate di prima categoria. Con la sentenza di ieri, la Corte afferma che legge della Regione Abruzzo si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di energia e in materia di governo del territorio. Tali principi sono stabiliti dalla normativa statale. E la Corte cita in proposito sia la legge n. 239/2004 sia il D.P.R. n. 327/2001. Pochi sanno, tra l’altro, che il colpo di grazia inferto a Sulmona sulla questione del metanodotto deriva da una modifica al D.P.R. del 2001, effettuata con il decreto-sviluppo del 2012: essa non consente più alla Regione di chiedere una nuova valutazione dell’opera e nemmeno di avanzare allo Stato una proposta alternativa. La strada da percorrere, sia in relazione al metanodotto sia in relazione alla centrale, resta, pertanto, un’altra: se si ritiene che possano esservi rischi per il territorio, occorre insistere perché il Governo nazionale, e non la Regione, risolva la questione. Mi rendo conto, però, che il problema è solo politico e che il Governo Renzi sta andando in tutt’altra direzione, come stanno a dimostrare il recente disegno di legge di revisione della Costituzione, che riconduce alla competenza esclusiva dello Stato l’energia e le infrastrutture energetiche, senza che, in futuro, le Regioni e i Comuni possano opporvi alcunché, e le continue dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Economico Guidi, che spinge perché progetti, come quello di Sulmona, trovino immediata realizzazione e si accompagnino ad investimenti massici nel settore degli idrocarburi”.