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Teramo, il Pd accusa l’amministrazione: “Gestione fallimentare del verde pubblico”

Non è contento il Pd teramano di come l’amministrazione Brucchi abbia gestito il verde pubblico a dei mesi dalla quella che è stata definita una bocciatura per la Team alla quale è stato tolto il servizio. Mancanza di programmazione e incapacità di organizzazione lungo termine sono state le accuse che il capogruppo consiliare del Pd a Teramo, Gianguido D’Alberto, ha rivolto a Rudy Di Stefano definito “assessore con delega depotenziata e parziale all’ambiente” e il sindaco Maurizio Brucchi “che, nel momento stesso in cui lo delega, lo commissaria, custodendo gelosamente tra le sue braccia da oltre 6 anni la delega ai rapporti con la società che di fatto gestisce il 90% delle questioni ambientali”, che ha prodotto, come conseguenza, “una situazione prossima allo sfascio”.

In particolare D’Alberto critica il fatto che pur sapendo con un certo anticipo la scadenza dell’affidamento alla Team, l’amministrazione non abbia provveduto a programmare per tempo gli interventi necessari, ritrovandosi ora con erba alta un po’ dovunque, cestini stracolmi di immondizia e parchi pubblici al limite della praticabilità.

“Abbiamo registrato”, scrive in una nota il consigliere, “una gestione scriteriata di questa amministrazione che, dopo il 30 aprile, ha stanziato a maggio 40 mila euro in via d’urgenza, 100 mila euro a giugno per una ‘garetta’ e, da ultimo, a settembre ulteriori ‘emergenziali’ 20 mila euro, affidando fino ad ora il relativo servizio senza alcuna forma di vera evidenza pubblica e senza rispettare il sacrosanto principio della rotazione degli operatori affidatari di servizi gestiti in economia, con l’effetto ultimo di sottrarre la gestione ad un reale confronto concorrenziale che avrebbe consentito veramente ai cittadini di ricevere un miglior servizio al minor costo”.

Inoltre per i capogruppo del Pd non si comprende “come mai non si sia proceduto a dare una garanzia ai dipendenti Te.Am. che si occupavano del verde, attraverso la scelta di non prevedere la cosiddetta clausola di riassorbimento che avrebbe consentito a coloro che svolgevano in precedenza queste attività di continuare a svolgerle, con un minor costo economico e sociale, anche con i nuovi affidatari”.