Morte Camara Fantamadi, anche l’Università di Teramo si appella a Mattarella

Teramo. Il Senato Accademico dell’Università di Teramo ha approvato e condiviso all’unanimità l’appello al Presidente della Repubblica lanciato dal rettore dell’Università di Palermo dopo la triste e dolorosa vicenda di Camara Fantamadi, il giovane originario del Mali morto due settimane fa sul ciglio della strada mentre tornava a casa, dopo una giornata di lavoro trascorsa nei campi del Brindisino a raccogliere verdura sotto il sole cocente.

«Camara Fantamadi – ha ricordato il rettore Dino Mastrocola – è morto “di lavoro” nel nostro Paese. Aveva 27 anni ed era arrivato in Italia tre giorni prima credendo di trovare un futuro lavorativo e di vita. Aveva invece incrociato una condizione di schiavitù: lavorare sotto il sole cocente per 6 euro l’ora. Una paga infame ma che per Camarda sembrava un sogno visto il Paese di provenienza».

«Sono fiero – ha aggiunto il Rettore – che il Senato Accademico all’unanimità ha voluto ribadire con forza la centralità del rispetto dei diritti umani, mettendo in luce la gravità della situazione di sfruttamento nella quale vivono un numero incredibile di lavoratori, ancor più grave se teniamo presente l’impegno a eliminare la schiavitù e il lavoro forzato, che abbiamo assunto con la nostra Costituzione e i numerosi trattati internazionali sui diritti umani di cui siamo parte».

Il testo dell’appello al Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.
«Signor Presidente della Repubblica, la morte di Camara Fantamadi, sfinito dopo una giornata di lavoro nei campi, indigna. È un fantasma del passato che ritorna, il fantasma dello schiavo, dell’uomo che si spacca la schiena sotto il sole per pochi spiccioli, senza diritti e senza assistenza di alcun tipo. La morte di Camara Fantamadi non è un episodio, ma è esemplificativa di un fenomeno di sfruttamento di enormi dimensioni che accade sotto i nostri occhi e nell’inerzia delle autorità politiche, amministrative e giudiziarie di uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Riteniamo che lo Stato italiano sia tenuto a restituire a sue spese la salma di quest’uomo, morto così sul suo territorio, ai suoi familiari e di porgere le sue scuse per non averlo voluto proteggere a sufficienza, al pari di qualsiasi altro lavoratore, bianco o nero egli sia. Riteniamo che un simile gesto sia dovuto, oltre che per ragioni di umana pietà, per rispettare i valori posti al più alto grado del nostro ordinamento giuridico. Il diritto di chiunque, cittadino o straniero, a non essere sottoposto a schiavitù, servitù e lavoro forzato è riconosciuto dalla nostra Costituzione e dai trattati internazionali sui diritti umani di cui l’Italia è parte. Confidiamo nel Suo immediato intervento».

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