Acqua del Gran Sasso: le condotte sotterranee e lo studio del 2003 che già evidenziava le criticità

Perchè spendere soldi per realizzare lo schema delle condotte sotterranee del Ruzzo, sotto al traforo del Gran Sasso, quando l’intera mappatura è presente da anni?

 

Il quesito, in questi giorni, è tornato d’attualità alla luce del percorso in itinere per la messa in sicurezza dell’acquifero sotto l’egida del commissario Corrado Gisonni.

Se da un lato la pulitura delle gallerie del traforo ha rappresentato un passaggio importante in questa vicenda, dall’altra la localizzazione delle condotte sotterranee, a detta di esperti, appare un lavoro superfluo.

Si, perché basterebbe riportare alla luce le cartografie a suo tempo commissionate e realizzate dalla Ruzzo Reti per capire, senza ulteriori spese, di come si sviluppano le varie condotte presenti sotto la A24, nei due versanti (verso

Teramo e verso L’Aquila). In effetti una serie di valutazioni erano state già fatte, nel 2003, attraverso uno studio che l’allora azienda acquedottistica (Acar) commissionò ad un team di esperti capeggiati dal geologo Giovanni Marrone.  Indagine che fu effettuata attraverso l’immissione nei varie bocchette di fluoresceina sodica. Un tracciante colorato che consentì, attraverso i dati raccolti e la tempistica di circolazione della sostanza, di ricostruire molti passaggi. Legati alla cartografia già esistente delle condotte sotterranee. Insomma, tornare a fare quel lavoro, con strumentazioni sofisticate e costose, a detta di molti, rappresenterebbe una spesa inutile. Piuttosto andrebbe verificato un altro elemento (cosa che peraltro lo studio di 17 anni fa aveva evidenziato), ossia che condotte che insistono sotto la sede autostradale sono permeabili. E dunque uno degli elementi centrali è quello della impermeabilizzazione delle condotte idriche. E qui torna d’attualità il famoso studio di Marrone, che continua ad essere un documento di riferimento, che ancora oggi favorisce chiare riflessioni. “La condotta drenante”, si legge nello studio, ” delle acque del Laboratorio del Gran Sasso, in seguito agli studi effettuati fino ad ora, mostra di avere contatti idraulici, in più punti, con l’acquedotto. Pertanto le immissioni accidentali di sostanze nella rete di drenaggio del laboratorio, in tali punti, finiscono con il confluire anche nella condotta dal Ruzzo. Tale condotta, ovviamente, è posta a rifiuto e dunque non utilizzata per fini potabili”. Però il rischio è rappresentato che le stesse immissioni, accidentali, poi potrebbero finire nelle acque sotterranee che alimentano lo stesso acquifero.

 

 

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