Pescara, la rabbia della marineria sfocia in violenza: la lunga mattinata di scontri per il dragaggio

irruzionecapitaneriaPescara. Scene da guerriglia urbana: la rabbia della marineria è, inevitabilmente sfociata in violenza, dopo mesi di attesa e di perdite economiche subite a causa del contestatissimo dragaggio del porto. I marinai, questa mattina, hanno perso definitivamente la pazienza e sono passati ai fatti. Con i pescherecci hanno bloccato il porto, con un palo e delle sassaiole hanno assalito la sede della Capitaneria, sono arrivati allo scontro con la polizia di fronte alla Prefettura, per poi bloccare, infine, la rampa dell’asse attrezzato e mandare in tilt il traffico di mezza città. Vari gli incontri con le istituzioni, ma alla fine è un nulla di fatto. La mattinata di tensione scatto per scatto.

Quello che i pescatori e gli operatori commerciali della marineria pescarese chiedono, stufi di perdere competitività, posti di lavoro, subire danni a eliche e scafi, è noto ormai da tempo: interrompere “l’inutile e dispendioso” dragaggio in corso e procedere con lo sversamento diretto a mare dei fanghi depositati sul fondale del porto. Lo strumento per ottenerlo è preciso e definito nella richiesta presentata alla Capitaneria di Porto: l’immediata chiusura del porto per l’avvio dei lavori di dragaggio di somma urgenza, come previsto da un decreto ministeriale del 1996, per rendere fruibile lo scalo alle navi che oggi sono state dirottate verso altri porti e rendere sicuro lo stesso porto ai motopescherecci.

Semplificando: il fondale del porto è ridotto all’osso, c’è già un’ordinanza della Capitaneria che impedisce la libera circolazione degli scafi superiori ai 2,5 metri di pescaggio circa, per cui le attività commerciali sono paralizzate totalmente da settimane, mentre i pescherecci devono fare lo slalom tra le secche della darsena e del canale per attraccare nelle banchine, subendo quotidianamente danni a scafi e eliche. Quello che chiedono gli uomini del mare è la chiusura totale dello scalo, così da far scattare forzatamente lo stato d’emergenza che darebbe il via o ad un dragaggio immediato, o all’autorizzazione dello sversamento del dragato in un sito al largo della costa.

Lo chiedono da tempo e questa mattina sono tornati a chiederlo: perdendo totalmente il controllo. Seguire la protesta è stato, a tratti, come seguire ad una guerriglia urbana. Dalle 9:00 alcune barche sono state affiancate a formare una diga all’ingresso del molo, la quale lasciava il passaggio solo alle imbarcazioni più piccole, le cosiddette vongolare. Da questo primo gesto di protesta dura, una cinquantina di uomini sono partiti in corteo sul lungofiume sud, dirigendosi verso il piazzarle antistante la sede della Capitaneria di Porto. Lì è cominciata a salire la tensione, quando i marinai hanno preso a rovesciare i bidoni della nettezza urbana, usandoli per sbarrare tutte le vie d’accesso e di uscita dal piazzale, in primis la rampa dell’asse attrezzato. Il traffico è cominciato ad impazzire, con lunghe code che si formavano provenienti da piazza Italia, dall’altra sponda del fiume e dall’asse attrezzato. Niente rispetto a ciò che sarebbe successo di lì a poco. Sul piazzale sono partite le prime urla verso il Comandante della Capitaneria, Pietro Verna: “Bastardo, vieni fuori”. Tensione palpabile, anche nei confronti dei giornalisti presenti: “Riferite sempre le solite quattro parole, parlate invece dei nostri problemi concreti, parlate dei geni che hanno speso miliardi per distruggere questo porto”, urla un pescatore in faccia ad una cronista Rai. Stesso trattamento riservato agli automobilisti incappati nella protesta, costretti anche a fare marcia indietro sulla rampa dell’Asse, mentre polizia e vigili bloccavano l’accesso alla rampa, e il traffico del centro si ingrossava su se stesso.

Dopo le 10:00, quando né Verna né alcun’altra istituzione si era ancora presentata all’appello, sono scattate le prime scintille. Il sindaco Mascia era impegnato in Prefettura per una cerimonia ufficiale, le porte della Capitaneria rimanevano chiuse e protette da un cordone di celerini in tenuta antisommossa. In un inverosimile momento di calma, mentre un motoscafo della Guardia Costiera controllava il blocco in acqua e due anziani ciclisti estranei alla vicenda si godevano la rampa dell’Asse insolitamente sgombra, tra le mani dei marinai sono spuntati alcuni bastoni e si è cominciato a minacciare le prime cariche. Queste le prime scintille: un poliziotto, fucile a pallettoni di gomma alla mano, ordina ad un uomo di posare a terra la grossa mazza di legno che impugna, lui, di tutta risposta, lo sfida: “Togliti tutto e affrontami”. Piccole scaramucce, sedate in un istante, ma l’eco in sottofondo continua: “Mascia, dove sei?”, “Verna, quanto vuoi farci aspettare?”. L’attesa si interrompe alle 10:30, quando un dirigente della Digos riferisce ai manifestanti che il Comandante Verna è disposto a ricevere una piccola delegazione. Dapprima il secco rifiuto, perché i marinai vogliono la firma dell’ordinanza di chiusura totale del porto; quella e null’altro. Francesco Scordella, uno dei rappresentanti dei pescatori, risponde: “Sono otto mesi che ci continuate a prendere in giro e siamo rimasti buoni, collaborando al massimo: ora basta, siamo esasperati, ognuno si prenda le proprie responsabilità”. La foga sale, e i propositi animosi si accavallano: “Mettiamo altre navi nel blocco e lo chiudiamo definitivamente il molo”, “Occupiamo anche il porto turistico”, “Facciamo chiudere il porto, e se il pesce vengono a portarlo a Pescara da fuori, li bruciamo i camion che arrivano”. Parole forti, con toni accesi e rudi: ma ancora sospese senza concretezza.

Poco dopo si forma la delegazione, formata da Scordella e Mimmo Grosso, altro rappresentante della marineria, gli operatori commerciali Bruno Santori e Sabatino Di Properzio, il pilota del porto Leonardo Costagliola e alcuni altri uomini di mare, ai quali si accodano alcuni consiglieri comunali Pd. Verna scende nella sala riunioni e ascolta la voce di tutti, voce unanime: “Il porto venga chiuso, si passi all’emergenza e si faccia un dragaggio che liberi effettivamente lo scalo, invece di continuare a buttare risorse pubbliche con gli attuali lavori”. Se i pescatori, affrontando danni e sforzi, riescono a stento a lavorare, gli operatori commerciali sono fermi totalmente, con investimenti e debiti da affrontare, oltre che stipendi da pagare. Stride il commento di Bruno Santori: “L’unico precedente in cui il porto commerciale si fermo totalmente fu causato dalle mine dei tedeschi e dai bombardamenti degli alleati: complimenti a chi ha riportato Pescara alla seconda guerra mondiale”, sbatte in faccia al Comandante Verna. Ma il Comandante rimane fermo sulle sue posizioni: “Finché anche il porto rimane utilizzabile, anche dai natanti più piccoli, non si può chiudere”.

È questa il vero innesco per la bomba della tensione, che esplode in pura violenza, alle 11:00 in punto: alcuni pescatori abbandonano il tavolo e tornano sul piazzale; non appena si sparge la voce, un piccolo gruppo si porta sotto le finestre della sala riunioni, su via Marco Polo, e inizia a lanciare piccoli sassi e alcune lattine all’interno, dove gli operatori commerciali e i politici continuano a discutere. Vengono abbassate le serrande e risolto il piccolo inconveniente: l’inizio della fine. La massa si compatta al cospetto dell’enorme portone di vetro, l’ingresso principale: sassi enormi vengono lanciati contro il vetro antisfondamento, che pian piano si incrina sotto i colpi, si spaccano i primi cristalli, le pietre penetrano all’interno del palazzo, dove sale la paura tra i presenti. La situazione sfugge completamente di mano: gli agenti si erano, nel frattempo, spostati verso il sovrappasso dell’Asse e piazza Italia, dove già alcuni manifestanti erano arrivati. Il portone è così totalmente vulnerabile e cede definitivamente sotto il gesto di massima esasperazione: la sbarra che delimita il piazzale viene divelta e usata come ariete. Un intero pannello della porta va in frantumi, e solo l’immediato ritorno sul posto delle forze dell’ordine riesce a disperdere la folla impazzita e ad impedire l’irruzione.

Non è finita, nemmeno un po’: il corteo si calma, si ricompone e riparte alla volta di piazza Italia; lì ci sono gli uffici del Prefetto Vincenzo D’Antuono, con il quale gli uomini del porto vogliono parlare, visto l’infruttuoso dialogo con la Capitaneria. Sui gradini del palazzo dei Marmi, però, sono già schierati altri celerini, posizione presa come “trattamento da criminali” dai marinai già infuriati, riparte quindi la violenza. Alcuni spintoni ai danni dei militari, questi si difendono con gli scudi senza reagire, ripartono altre sassaiole, precipita la situazione nuovamente: funzionari della polizia sollevati di peso, agenti feriti, manganellate, grida, insulti, strattoni, indumenti strappati: dieci minuti di pura follia. Due agenti della polizia provinciale finiscono in ospedale con prognosi dai 7 ai 10 giorni. Per ristabilire una minima calma occorre l’intervento del vice questore vicario Mario Della Cioppa, che parla alla folla con la giacca visibilmente strappata, risultato dei minuti precedenti: chiede scusa per i gesti di nervosismo verificatesi da parte degli agenti, “frutto della pressione del momento”, e riporta l’invito del Prefetto a formare un’altra delegazione per essere ricevuti a esporre le proprie richieste. Alle 11:30 Scordella, Di Properzio, Santori e altri pochi uomini salgono al dialogo con il Prefetto, scortati da Della Cioppa. Nel frattempo polizia e vigili interdicono al traffico tutto il perimetro intorno al palazzo dei Marmi, si blocca nuovamente il flusso proveniente dall’Asse e il centro procede nella sua paralisi di clacson e code. A mezzogiorno si aggiunge al vertice in corso anche il Questore Passamonti, mentre la pioggia riesce a placare gli animi sulla piazza e la folla si riduce a piccoli capannelli al riparo dall’acqua.

Poco dopo la pioggia si ferma, e i capannelli si ricompattano nel blocco sulla rampa che passa sopra il fiume. Il traffico, che viene cercato di far scorrere a tratti alternati, viene compromesso definitivamente, mentre si avvicina la critica ora di punta. Il lungofiume nord, corso Vittorio Emanuele, l’asse attrezzato: tutto intasato, con la pioggia che prenderà a trasformarsi in temporale e a compiere l’opera. Mentre i bidoni rovesciati bloccano ancora la rotonda della Capitaneria. Alle 12:20 Scordella esce dagli uffici del Prefetto, visibilmente scontento di quanto ascoltato ed esclama: “Se non lo chiudono loro, lo chiudiamo noi il porto”, e va con i suoi a chiudere il piccolo pertugio rimasto nella diga formata dai pescherecci. Esce anche Santori, più pacato ma sempre indignato, e spiega: “Il Prefetto ha detto di non avere gli strumenti per chiudere totalmente il porto, invitandoci ad attendere 4-5 giorni durante i quali si attiverà presso i soggetti preposti”. Notizia non digerita dagli operatori: “Noi l’abbiamo invitato ad andare direttamente dal Governo e dalla Protezione Civile per modificare rapidamente l’ordinanza farsesca e senza soldi che ha nominato Goio commissario per l’emergenza”, aggiunge. Quello stato d’emergenza richiesto da tempo, ma non dichiarato in modo materiale. Le notizie prendono a susseguirsi freneticamente: si comincia a parlare della proposta di ordinare la chiusura del porto per i pescherecci e le navi commerciali, i natanti più grandi insomma, ma viene rifiutata perché non comporta quello strumento emergenziale che la marineria insegue: “Così si penalizzano solo alcune attività con un’ordinanza parziale inutile”, commenta ancora Bruno Sartori.

Nel frattempo si ritorna sulla rampa dell’Asse: il porto è completamente bloccato dalle barche e la manifestazione prende la via dell’oltranza. Si ripresentano i gesti più assurdi: dal gruppo viene sparato un razzo segnalatore, quelli usati sulle barche per segnalare le richieste di soccorso, ma invece di finire in cielo va a rimbalzare ripetutamente sulla facciata di un palazzo, riuscendo miracolosamente a non sfondare le finestre. Un caso isolato, comunque, si respira finalmente un’aria meno densa dal cuore della protesta. Il vice questore, presenza fissa e dialogante con i marinai, invita nuovamente gli uomini alla calma, mediando tra le parti. Alle 13:00 scoppia violento il temporale, ma i lupi di mare non desistono e spostano semplicemente il picchetto al riparo della carreggiata sopraelevata dell’asse attrezzato. Si deve aspettare le 13:43 quando Scordella viene invitato nuovamente dal Prefetto per un secondo incontro, al quale si reca con Riccardo Padovano, segretario provinciale Sib, alcuni colleghi e il consigliere Pd Enzo Del Vecchio. Dal Prefetto troverà nuovamente il Questore, il comandante Verna e, finalmente, il sindaco Albore Mascia. Passerà, quindi, un’ora prima, durante la quale partono vari passaparola che ripropongono la chiusura parziale del porto e l’attivazione di un indennizzo per gli operatori. Chiarezza viene fatta alle 14:50: quando dalle porte della Prefettura esce la delegazione intera, accompagnata da Mascia. È proprio il sindaco a fare il punto della situazione.

“Avvio immediato delle procedure per garantire gli opportuni indennizzi alla marineria e agli operatori commerciali del porto canale. E poi valutazione, da parte della Direzione Marittima, dell’opportunità di un’ordinanza che limiti l’accesso al porto specificatamente ai pescherecci per evidenziare lo stato di crisi. E intanto, mentre venerdì il Ministro alle Infrastrutture Matteoli ha convocato il Provveditore Carlea per avere una relazione dettagliata sul ‘caso’ Pescara e su come si possa essere arrivati all’emergenza odierna, dovremo preoccuparci di programmare il miglior utilizzo degli ulteriori 2 milioni di euro disponibili per proseguire, a ottobre, il dragaggio del porto canale: a tal fine la Regione ci ha comunicato che per martedì prossimo verrà convocato un vertice urgente per verificare la qualità definitiva dei fanghi e il loro possibile sversamento a mare, al largo di Termoli o di San Benedetto del Tronto, una procedura che ora l’Arta ha dichiarato possibile, dopo i divieti dei mesi scorsi”. Oltre a questo, Mascia spiega di aver parlato per due ore al telefono con il Ministero delle Infrastrutture e quello dell’Ambiente, con il Provveditorato e con tutte le Istituzioni coinvolte per di ottenere tre risultati importanti: l’avvio immediato delle procedure per garantire agli operatori l’erogazione di indennizzi per il periodo di blocco forzato che stanno vivendo; l’avvio di un’ulteriore azione di pressing con l’assessore regionale alla Pesca Febbo per creare le condizioni procedurali necessarie per accelerare l’erogazione degli indennizzi; infine, l’intevento del sottosegretario all’Ambiente Catone il quale ha chiesto al Prefetto di inviare una lettera nel quale si convoca una Commissione d’urgenza tra Regione Abruzzo, Comune e Provincia di Pescara, Direzione Marittima, Ministero delle Infrastrutture e Ministero dell’Ambiente: Commissione alla quale prenderà parte lo stesso onorevole Catone per esaminare il ‘caso’ Pescara.

L’indennizzo in questione rientrerebbe nella cosiddetta regola “De minimis” derivante da una sovvenzione Comunitaria: su questa puntano i piedi i marinai, convinti che gli indennizzi arriverebbero automaticamente con la dichiarazione dell’emergenza conseguente alla chiusura del porto. Proprio per chiarire quest’ultimo punto, è stato convocato per le 8:30 di domani un nuovo incontro presso la Capitaneria. Decisione ultima, arrivata alle 15:00, che ha convinto i manifestanti a liberare le strade dai blocchi: ma la proposta di chiusura parziale, ribadita due volte, non piace assolutamente ai marinai, che hanno lasciato le barche affiancate e salde sul molo bloccare ogni passaggio.

 

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Daniele Galli


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