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Consumo di alcolici, sempre più diffuso il pericoloso binge drinking

L’Istat fotografa il rapporto tra gli italiani e gli alcolici. Il consumo di bevande alcoliche diminuisce ma i rischi per la salute aumentano perché si beve meno ma si beve peggio.

La studio dell’Istat “Uso e abuso di alcolici in Italia”, recentemente pubblicato, lascia pochi dubbi, se da una parte scendono i consumi di alcolici, dall’altra gli italiani bevono sempre peggio. Dalla ricerca Istat emerge che gli italiani, in particolare nella fascia di età che va dai 18 ai 44 anni, hanno rinunciato al tradizionale bicchiere di vino durante i pasti di tutti i giorni, tuttavia è in evidente aumento il fenomeno del binge drinking, ovvero l’assunzione di alcolici in brevissimo tempo e in quantità smodata, spesso anche lontano dai pasti.

Queste “abbuffate” di alcol sono ovviamente saltuarie ma non per questo meno pericolose. Una ricerca della University of Exeter (Gran Bretagna) ha infatti dimostrato l’esistenza di un legame tra la pratica del binge drinking e l’aumento del rischio di patologie neurologiche degenerative, in particolare è emerso che basta abusare degli alcolici due volte al mese per vedere raddoppiare il rischio di incorrere nel declino cognitivo.

Alle conseguenze a lungo termine, vanno poi aggiunte quelle a breve, prime tra tutte quelle per il cuore, tre bicchieri di whisky o cinque cocktail, ad esempio, aumentano di otto volte il rischio di aritmie cardiache. Non bisogna poi dimenticare i pericoli indirettamente collegati al consumo eccessivo di alcolici, come il rischio di mettersi alla guida in condizioni di alterazione, mettendo quindi a repentaglio la propria incolumità e quella degli altri.

Tornando alla ricerca Istat, colpisce il fatto che il fenomeno del binge drinking sia più diffuso tra le persone in possesso di un titolo di studio di alto livello; è emerso infatti che solo il 5.9% di chi ha solo la licenza elementare si ubriaca volontariamente mentre la percentuale sale tra diplomati e laureati, fino a raggiungere il suo picco del 12.4% tra coloro in possesso di un dottorato di ricerca.