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I ‘Giorni ordinari’ di Giorgio Serri: mostra fotografica a L’Aquila

L’Aquila. La sequenza fotografica portata in scena da Giorgio Serri, nel pieno centro storico cittadino in Via dell’Arcivescovado, è una lettura pura della condizione che i giovani aquilani si trovano a vivere nella realtà post sisma nei loro atti quotidiani.

Le immagini sono allestite su transenne di metallo che a L’Aquila sono il limite tra la zona rossa e il limbo nel quale si può vivere, come se le immagini aprissero una visuale sull’oltre: al di là del consentito.

Il giovane fotografo, poco più che ventenne di origine rumena e di cultura aquilana, ha condotto i suoi studi presso l’Istituto d’Arte cittadino proseguendo poi con l’iscrizione all’Accademia delle Belle Arti. Un iter formativo che gli consente di sperimentare diverse tecniche espressive: dalla pittura alla produzione video per poi approdare al mezzo fotografico. Nel 2010 espone le sue prime opere pittoriche presso la sede del Ministero della Pubblica Istruzione a Roma dedicate al terremoto della città dell’Aquila. Cambia il mezzo di comunicazione e con esso la volontà di mettersi in gioco per vestire i panni del creativo con una diversa consapevolezza d’intenti.

Le opere presentate in “Giorni ordinari” sono introdotte da un artificio spaziale: una riproduzione di un atipico portale puntellato aquilano che introduce visivamente nella “ordinarietà” di Serri. Un “reportage artistico” viene definito, dallo stesso, l’insieme di foto a colori che ritraggono giovani in primo piano su fondali di una città fantasma che non permette una vera fruibilità e la loro impotenza si evince dalla cesura tra loro e l’ambiente circostante che non ha più le doti e le capacità di essere vissuta come “città”. Ci sono anche composizioni fotografiche realizzate con tre o più foto, trittici e polittici, alcuni in bianco e nero e l’utilizzo della bicromia è come se sospendesse il tempo e lo spazio proiettandoci in una realtà ordinaria priva di punti di riferimento.

Giorgio Serri porta in scena una visione personale della sua città e con i “Giorni ordinari” vuole testimoniare uno stato di presenza e di vita “normale” che si svolge regolarmente in quei luoghi sfigurati dal terremoto, contenitori vuoti che si concedono solo alla vista perché non più agibili. Le immagini tentano di ricomporre lo stato in cui versa la città e veicolano una volontà di riscatto da parte di chi vive e affronta qui la sua consuetudine. Il fotografo dà voce ad una realtà che si sta pericolosamente sottovalutando: il disagio dei giovani nel vivere in un contesto privo di connettivo e fuori da qualsiasi schema di ordinarietà e normalità.

 

Paola Marulli