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Collecorvino, venerdì l’inaugurazione della casa famiglia Mia Gioia

Collecorvino. Condivisione, accoglienza, semplicità. Sembrano essere queste le parole scelte da Cristiano e Simona, una giovane coppia di Montesilvano, che da circa un anno ha accolto la proposta delle comunità famiglia Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi.

“Siamo una famiglia normale” spiega Cristiano “formata da una mamma e un papà che hanno scelto di aprirsi all’accoglienza di ogni tipo e soprattutto abbiamo voluto aprire le porte di casa agli emarginati, a coloro che più difficilmente troverebbero possibilità in una famiglia classica o in delle strutture”.

La casa, che sarà inaugurata venerdì, alle 17, con una tavola rotonda di presentazione nella sala consiliare del Comune di Collecorvino, ha come nome “Mia Gioia”, un aggettivo e un sostantivo che dicono tutto sulle motivazioni degli sposi e sulle finalità di far propria la difficoltà altrui, condividendola e trasformandola in serenità.

“Mia gioia” continua Cristiano “è tratto dal brano di Isaia 62 e dice la chiara fiducia del vivere di provvidenza, nella comunione dei beni, in semplicità e letizia, ma con responsabilità perché l’accoglienza avviene mantenendo l’equilibrio esistente nella famiglia stessa e conta sull’aiuto di tanti. Noi condividiamo le croci degli altri, ma sentiamo anche il bisogno di essere visitati e sostenuti”.

Da circa un anno Cristiano e Simona hanno scelto di lavorare alla comunità educativa residenziale ed ora ufficializzano un percorso che li ha visti già capaci di partecipare la propria vita in modo stabile, continuativo, definitivo, oblativo ai loro tre figli, al quarto atteso per febbraio, ad una donna pakistana con figli minori e ad una adolescente in affido di origine sarda. In questo modo si vuole rispondere alla necessità essenziale e profonda di chi viene accolto. “l bisogno di sentirsi amati da qualcuno e il bisogno di essere utile ed importante per qualcuno; in definitiva una relazione significativa con un papà e una mamma. Le persone o i ragazzi accolti non si sentono più assistiti, ma scelti e stimati da figure genitoriali”.