Il suo nuovo album, Lu misciarule, segna la sua maturità artistica e musicale, grazie anche al sodalizio artistico con musicisti come Vincenzo Irelli, Enrico Benetel, Danilo Clamoroso, Teodoro Pace e Morgan Fascioli, solo per citarne alcuni. La fragranza, la schiettezza e l’immediatezza di stornelli e ballate della tradizione delle campagne e montagne abruzzesi e in particolare teramane, come ”Le dodici ore dell’amore”, ”E tinghe tinghe”, l’imprescindibile ”Lu sant’Antonio”, canto di devozione e di festa, si arricchiscono così di nuovi arrangiamenti e di raffinate sonorità.
Ma c’è anche un’operazione culturale in questo album: Roppoppò come ogni cantastorie si trova a suo agio nell’Italia minore e segreta, quella dei piccoli borghi, dei vicoli e delle pietre antiche, del futuro incerto, dei saperi che non sono in vendita, delle emozioni non taroccabili, dei paesaggi che non possono emigrare. Ed ecco dunque canzoni inedite dedicate a Civitella del Tronto, e la bellissima ”Li misciarule”, un’antica nenia che scandisce i dodici mesi e i lavori della terra, e che diventa un saltarrello dai ritmi travolgenti. Od anche ”Giovanni blues”, un bignami in stornelli di un modo di essere che spazia tra autoironia, fatalismo e tanta umanità, tipica del vero mondo contadino.
E poi appunto le poesie di Michele Notturno, tra i maggiori vivificatori del vernacolo vestino. Due poesie in particolare diventano musica nell’album di Roppoppò, ”La vigna di Ciccille”, il cui senso si riassume in un verso: ”l’amore è come la vigne, dura tant’anne si tu ì sti attinte”. E ”Lu lamente di Tatà”, canto di rabbia di un contadino dell’entroterra abruzzese, impotente davanti all’abbandono e allo spopolamento, recente destino che intristisce l’Appennino, e luoghi e paesi che pure sembrano paradisi in terra.
Il cd esce in edicola insieme a Lu cantastorie, semestrale di cui lo stesso Franco Palumbo è editore, e che segue come fossero tracce le canzoni dell’album, raccontandone i luoghi e i protagonisti ma che anche allarga lo sguardo, alla ricerca si legge nell’editoriale ”del silenzio del mare e quello delle montagne, dei visi comunicanti dei giovani che hanno i sogni e la rabbia, delle mani degli artigiani e dei musicisti, delle visioni inutili ma di cui non si può fare a meno degli artisti, della fatica nell’ombra di chi di si prende cura del prossimo, delle parole dei poeti, nella consapevolezza che tutti al mondo sono poeti, perfino i poeti’.’