Chieti. Dare del “bugiardo” al capo ufficio è sempre ingiuria, anche quando a farlo è il rappresentante sindacale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza della quinta sezione penale (35992/13) che ha respinto il ricorso presentato da un capitano della polizia municipale e rappresentante sindacale condannato per ingiuria continuata per aver dato della bugiarda alla comandante del Corpo di polizia municipale del Comune di Chieti con la frase “in questo comando non lavora nessuno…, lei è una bugiarda! Io non parlo con i bugiardi”, frase che sarebbe stata ascoltata anche da alcuni testimoni, quattro vigili urbani presenti al fatto.
Il rappresentante sindacale si era presentato nell’ufficio della comandante per difendere la posizione di un vigile urbano che lamentava un iniquo trattamento di carico di lavoro. Secondo i supremi giudici, “e’ del tutto infondata la tesi difensiva secondo cui le frasi pronunciate in qualità di esponente sindacale e in difesa della posizione di un aderente al sindacato non hanno efficacia lesiva”.
“L’affermazione circa il mancato svolgimento di attività lavorativa – precisa la corte di Cassazione – da parte di addetti alla polizia municipale, si traduce inevitabilmente in una accusa, mossa alla dirigente, di incapacità organizzativa delle delicate funzioni dei singoli vigili urbani e di carenza di controllo sul dirigente ed efficace svolgimento di tali funzioni”.
“L’accusa – sottolinea i supremi giudici – di mentire e di violare la verità, nell’ambito di una pur accesa polemica, ugualmente costituisce una indubitabile lesione dell’onore e del decoro della donna, sotto il profilo etico e professionale: lo scontro, la polemica, il dissenso, maturati nel confronto di opposti schieramenti o di opposte individualità devono avvenire, come in tutti i casi riguardanti i comuni cittadini, nell’ambito del rispetto delle regole giuridiche e della civile convivenza. Non e’ quindi invocabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica sindacale”.