Chieti. Obi Bcc di Chieti, dopo anni di altalenanti relazioni sindacali e una storia contrattuale, decide di licenziare unilateralmente 4 lavoratori per ragioni economiche, chiudendo la porta ad una possibile apertura di una mobilità che avrebbe potuto dare un paracadute d’ammortamento alle risorse umane sapientemente scelte.
“Questo è ciò che succede – dice il rappresentante delle segreterie sindacali, Sergio Aliprandi – dove, in barba alle Leggi vigenti in materia di crisi aziendali, la Direzione ha avviato una procedura di licenziamento individuale apparentemente ligia ai vincoli normativi, ma concretamente indirizzata a liberarsi, di fiore in fiore, di dipendenti indesiderati. A Sambuceto, in un territorio dove il mercato del lavoro stagna più che altrove, con Obi Bcc non si è neanche potuto tentare di trovare un terreno di soluzioni alternative e di condivisione, di un confronto dettato anche da un contratto Integrativo di 2° livello ove le norme condivise di informazione e relazioni sindacali andavano privilegiate rispetto ai nuovi assetti occupazionali, mentre invece dobbiamo assistere alla dolorosa conta degli ‘esuberi’ sbattuti fuori senza il perchè e su quali basi e criteri sono stati individuati quei dipendenti. La scellerata scelta, fortemente discutibile sul piano del metodo e del merito, solleva una responsabilità sociale che un colosso Nazionale come Obi non può derubricare a semplice contabilità licenziamenti, esistono le storie dei lavoratori e lavoratrici che hanno da anni contribuito ai profitti aziendali con professionalità e dedizione. Un modello di business basato sui licenziamenti è un modello perdente, di basso livello, di scarsa portata. Ci saremmo aspettati di più da chi dirige un gruppo così importante come Obi. Quanto si sta verificando alla Obi di Sambuceto, esprime concretamente l’atteggiamento che molte catene distributive, operanti in Italia, stanno perseguendo, approfittano della crisi. Questo atteggiamento riporta le conquiste dei lavoratori indietro negli anni, attraverso scelte unilaterali, non condivise e che nei fatti portano i lavoratori colpiti da questi processi riorganizzativi a richiudersi a riccio, preoccupati della perdita di posti di lavoro”.