Sisma, le vittime non hanno colpe: in centinaia al sit in di protesta

L’Aquila. Centinaia di persone si sono radunate nel cortile del palazzo dell’Emiciclo, alla Villa Comunale dell’Aquila, per partecipare alla manifestazione pubblica “Le vittime non hanno colpa”, in riferimento alla sentenza, in sede civile del Tribunale dell’Aquila, riferita al crollo di uno stabile in via Campo di Fossa, in cui la notte del 6 aprile 2009 morirono 24 persone sulle 309 vittime complessive del sisma.

 

L’Avvocatura dello Stato ha accolto la richiesta di risarcimento con sentenza del giudice Monica Croci del tribunale civile, ma il Tribunale ha anche riconosciuto una corresponsabilità di alcune vittime, pari al 30%, perché ha ritenuto siano state imprudenti a non uscire di casa.

Di qui la mobilitazione che fa seguito a due settimane di indignazione in città.

Hanno formalmente aderito comitati sorti nel Paese all’indomani di altre catastrofi, quella del ponte Morandi a Genova, di Rigopiano (Pescara) o quella relativa all’inquinamento di Taranto. Hanno aderito anche esponenti politici abruzzesi, sindacati, associazioni, gruppi organizzati tra cui i tifosi dell’Aquila Calcio. “Prima rassicura poi condanna le vittime e il popolo aquilano, ennesima vergogna dello Stato italiano”, recita uno striscione dei Red Blue Eagles, mentre un altro con scritto “Le vittime non hanno colpa” ha affiancato il palco da cui sono partiti gli interventi.

Il primo a prendere la parola è stato Federico Vittorini che nel sisma ha perso madre e sorella. “Una sentenza che crea un precedente pericoloso – ha detto – giudici del genere non devono continuare a esercitare, mi prendo la responsabilità di quello che dico. Perché una sentenza del genere attribuirebbe la colpa persino a Falcone e Borsellino per il fatto di aver combattuto la Mafia. Chi c….. gliel’ha fatto fare di combattere la mafia?”.

Il padre, Vincenzo Vittorini, volto simbolo per 13 anni della battaglia per il riconoscimento dei diritti delle vittime, ha ripercorso la storia dei mesi prima e dopo il sisma, anche in relazione alla riunione della Commissione Grandi Rischi. “Condannare le vittime con il 30% di colpa è un abominio laddove qui in Italia e in altre stragi italiane non è stata fatta né verità né giustizia”.

Alla manifestazione “Le vittime non hanno colpa” ha voluto essere presente l’avvocato Maria Grazia Piccinini, madre di Ilaria Rambaldi, studentessa di Ingegneria rimasta uccisa nel crollo della palazzina di via Campo di Fossa.

Dal suo caso, unito a quello di altre 4 vittime, ha avuto origine la sentenza civile che attribuisce il 30% delle colpe a chi è rimasto schiacciato dalle macerie.

Una sentenza che la signora Piccinini non ha esitato a definire “scandalosa”.
“Mi auguro – ha detto – che questa sentenza non abbia seguito.
D’altra parte, si tratta di un provvedimento senza precedenti da parte di un magistrato che più volte si è occupato del terremoto, senza mai peraltro attribuire alle vittime alcuna responsabilità né del 30% né del 15% o del 5%. Sono per questo meravigliata. Le domande che mi faccio, dunque, è per quale motivo questa sentenza? Perché proprio adesso? Perché proprio a noi?”.
Presente anche l’avvocato Wania della Vigna che ha seguito le vicende dei parenti delle vittime per la Casa dello Studente o per altri fabbricati di via Campo di Fossa. “Mi auguro che questa sentenza venga ribaltata in appello – ha spiegato – anche per scongiurare possibili ripercussioni in sede processuale riguardo questa tragedia, ma anche altre vicende come il disastro di Rigopiano o il terremoto di Amatrice”.
“Noi cittadini e soprattutto noi familiari delle vittime siamo solidali fra noi – ha detto Carla Esposito, zia di Francesco giovane scomparso la notte del 6 aprile 2009 – Questa sentenza non è affatto giusta anche perché rivanga un passato che facciamo fatica anche solo a ricordare”.
Tra gli interventi anche quello di Lilli Centofanti, sorella di Davide, morto nel crollo della Casa dello Studente. “È un provvedimento che getta fango sulle vittime e incertezza sui vivi – ha valutato – ma una sentenza che al contempo ci riscopre come comunità, in grado di portare avanti insieme le stesse battaglie”

 

 

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