Caos esami di abilitazione, la protesta degli psicologi. Mille sono abruzzesi

Sono circa 10.000 i laureati in psicologia, di cui circa 1000 solo dell’Abruzzo, che protestano per chiedere una riformulazione dell’esame di Stato, modificato a seguito dell’emergenza covid: “A meno di una settimana dall’inizio della sessione non c’è chiarezza né sui tempi e né sulle nuove modalità.

 

È inaccettabile dover affrontare al buio un momento così importante della nostra vita professionale”

“Il tempo sta per scadere, ma le istituzioni ci hanno lasciati soli e in una situazione di totale incertezza”: è un vero e proprio grido di allarme, quello dei laureati in Psicologia in procinto di dover affrontare l’esame di abilitazione professionale. È l’ultimo capitolo di una lotta che va avanti da quattro mesi e che, come spiegano i portavoce Patrick Fabbri e Davide Pirrone, coinvolge circa 10mila abilitandi in psicologia – di cui circa 1000 solo dell’Abruzzo – con una mobilitazione che non ha precedenti nella storia di questa professione.

 

Al centro della protesta le modifiche alle modalità di svolgimento dell’esame di abilitazione professionale: un cambiamento che è stato necessario a seguito dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia, ma che viene giudicata farraginosa e assolutamente non adeguata. Un epilogo risolutivo non sembra arrivare, mentre si avvicina sempre di più la data di inizio della prossima sessione, spostata dal 16 giugno al 16 luglio a causa delle misure anti-covid

“Prima del coronavirus – spiegano i rappresentanti – il nostro esame di abilitazione consisteva in tre prove scritte più un colloquio orale. Per potervi accedere era necessario un tirocinio professionalizzante di 1000 ore distribuite in due semestri e si trattava di prove complesse e impegnative: una sulla psicologia generale, una  dedicata alla progettazione di un intervento, una terza incentrata sull’analisi di un caso clinico reale, seguite poi da un colloquio orale sull’analisi del tirocinio, sulla conoscenza e sulla capacità di applicazione del codice deontologico. Adesso, invece, tutto verrebbe sostituito da un colloquio telematico di cui non sono chiare né le modalità né i tempi, e sostanzialmente ci apprestiamo ad affrontare un’esame al buio, senza sapere a che tipo di prova andremo incontro”.

 

Di base, infatti, ciascun ateneo universitario ha la piena discrezionalità sulla modalità di svolgimento e sulla valutazione degli esami, e in ogni caso non sembrano esserci adeguamenti alle linee guida dell’Ordine, che risultano peraltro vaghe e comunque non vincolanti. In pratica ci troviamo in una situazione in cui non solo non sappiamo niente di come l’esame sarà svolto, ma ci muoviamo senza avere informazioni neppure sulle date: alcuni atenei non hanno fatto sapere nulla sulle tempistiche e sulle date, altri hanno pubblicato solo le tabelle con le date senza orari, ma anche qui ognuno segue percorsi diversi, e c’è pure chi spezzerà la sessione in due fasi, tra luglio e settembre. Così diventa davvero difficile organizzarsi per molti di noi, specialmente per chi già lavora. Immaginiamo infatti, che si debba richiedere un giorno di ferie nella data dell’esame: ma che fare, quando questa data non la si conosce?”.

“La nostra proposta – spiegano i rappresentanti del movimento spontaneo – era quella di fare ciò che si è fatto per medici e infermieri a seguito della pandemia, ovvero equiparare il tirocinio professionalizzante all’esame di Stato. Anche perché, dopo il decreto Lorenzin del 2018, la Psicologia ha acquisito a tutti gli effetti lo status di professione sanitaria. Ci è stato  risposto, però, che non era possibile. A quel punto abbiamo chiesto di poter svolgere il colloquio telematico secondo le modalità di quella che precedentemente era la prova orale, con la possibilità per i commissari di aggiungere domande sulla teoria, ma dando sostanzialmente per assodate le conoscenze oggetto delle prime tre prove scritte: materie e tematiche che, del resto, sono già state valutate ampiamente e ripetutamente durante tutto il percorso di studi universitari.

 

È impensabile, infatti, l’idea di poter concentrare in una videochiamata di mezz’ora quattro prove così articolate, senza che ne scaturisca un caos. Al momento, però, nessuno sembra volerci ascoltare”. E i problemi non finiscono qui: secondo le indicazioni ricevute, dovrebbe ricadere sugli stessi abilitandi persino la responsabilità della qualità della connessione a internet: “In questo modo – specificano – basta che salti un’attimo la corrente elettrica per rischiare che l’esame venga invalidato”. “Ormai la nostra battaglia – aggiunge Fabbri – non è più solo per le modalità d’esame, ma per il riconoscimento della dignità della nostra professione. È inaccettabile, infatti, ritrovarsi costretti ad affrontare in modo così caotico un momento importante del nostro percorso professionale, per il quale abbiamo lavorato duro nel corso degli anni. Si tratta inoltre di un esame molto costoso, e trovarsi a doverlo ripetere per mancanza di chiarezza sulle modalità non è proprio la situazione ideale, soprattutto in un momento in cui la situazione economica è così difficile. Abbiamo la sensazione di non essere ascoltati da nessuno”.

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