Anzi l’Istituto precisa che il prolungamento della caccia al cinghiale difficilmente “avrà un qualche tangibile effetto nel contenimento dei danni che ci potranno essere tra la primavera e l’estate prossime”.
Le motivazioni sono quelle che più il volte il WWF Abruzzo ha sostenuto e portato all’attenzione delle amministrazioni regionali che si sono susseguite: la caccia in braccata modifica la struttura delle popolazioni, comporta cambiamenti al ciclo riproduttivo favorendo la prolificità delle femmine, rischia di frammentare i gruppi familiari ed è per questo spesso controproducente rispetto all’obiettivo conclamato di ridurre il numero degli individui e i relativi danni. Favorisce inoltre una maggior mobilità dei cinghiali verso aree meno disturbate come quelle più prossime ai centri urbani o zone agricole più antropizzate, dove aumenta il rischio di danni, di incidenti stradali e di diffusione di malattie portate dalla specie.
“È arrivato il momento di affrontare il problema con dati ed evidenze scientifiche alla mano – dichiara Filomena Ricci, delegato regionale del WWF Abruzzo – e non utilizzare il pretesto dei danni da cinghiale per concedere sempre di più all’attività venatoria ottenendo come risultato solo quello di destabilizzare ulteriormente le popolazioni, come chiaramente afferma anche l’ISPRA. In Abruzzo si potrà cacciare il cinghiale fino al 31 gennaio, ma difficilmente i danni all’agricoltura e il rischio di impatto con autoveicoli saranno ridotti e allora a chi giova? Solo a un piccolo gruppo di cittadini che tra l’altro utilizzano una tecnica di caccia invasiva e impattante che crea disturbo anche a molte altre specie di animali.”
Il mondo agricolo, ma anche tutti i cittadini che rischiano gli impatti con gli autoveicoli, hanno il diritto di vedere affrontanti in modo serio le problematiche inerenti le loro attività lavorative e la loro incolumità.
“Il parere dell’ISPRA sulla caccia in braccata – dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia – fa cadere gli assunti delle ultime ordinanze della Regione Abruzzo e di diverse altre regioni secondo i quali l’attività venatoria rappresenterebbe uno stato di necessità per conseguire l’equilibrio faunistico venatorio e limitare il pericolo potenziale per la pubblica incolumità. Questo parere deve essere l’occasione per rivedere gli interventi sul territorio in materia di fauna selvatica e attività venatoria e per aprire un confronto tra le parti che miri davvero a risolvere le problematiche cambiando l’impostazione che per troppo tempo ha considerato la caccia come unica soluzione: questo miope approccio in realtà ha solo peggiorato la situazione sia per la diffusione delle popolazioni di cinghiale sia per la gestione dei danni”.
IL PARERE