Una nuova sentenza fa luce nella vicenda delle azioni dell’ex Tercas, con centinaia di risparmiatori che a causa di quanto avvenuto al corso dei titoli azionari si sono ritrovati improvvisamente con degli strumenti senza più valore di mercato.
Dopo i pronunciamenti di primo e di secondo grado in favore di alcuni investitori, c’è ora una nuova buona notizia che potrebbe stabilire un importante precedente.
La sentenza del tribunale di Teramo ha infatti accolto il ricorso presentato quasi sette anni fa da due eredi (moglie e figlio) di un risparmiatore deceduto nel 2010, stabilendo la possibilità di ottenere un risarcimento da parte dell’istituto di credito, se si sono verificate certe determinate condizioni durante la collocazione degli strumenti azionari.
Quando si può ricevere il risarcimento
Stando alla pronuncia del tribunale civile, il risarcimento dei danni può avvenire se non vi è stata un’adeguata informazione ai clienti da parte dell’istituto di credito. Nella fattispecie, la sentenza ha riconosciuto ai due eredi un risarcimento danni di circa 60.000 euro.
Anche in questo caso, i fatti contestati risalgono a prima del commissariamento della Tercas e prima dell’ingresso della Banca Popolare di Bari. La giudice Mariangela Mastro scrive in merito che “la banca non ha dimostrato in giudizio di aver fornito ai clienti una informativa specifica e personalizzata sullo specifico profilo dell’elevata rischiosità degli investimenti in azioni cosiddette “illiquide” in quanto non quotate sui mercati regolamentati. Deve quindi potersi affermare la condotta inadempiente della banca sotto il profilo degli obblighi informativi”.
In particolare, il tribunale si è soffermato sul questionario sull’adeguatezza che era stato compitato dal risparmiatore e che conteneva le informazioni sulla propria situazione finanziaria, sull’esperienza in materia di investimenti, sull’obiettivo di investimento e, ancora, sulla propensione al rischio.
“A tal riguardo è utile riportare quanto di recente affermato dalla Suprema Corte secondo cui in tema di intermediazione finanziaria la dichiarazione resa dal cliente (…) non costituisce dichiarazione confessoria in quanto rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo. La dichiarazione sottoscritta dall’investitore non può in alcun modo valere a ritenere adempiuto l’onere informativo incombente alla banca poichè a fronte di una contestazione di inadempimento specifica la banca non ha dimostrato di aver fornito al cliente una informativa specifica e contestualizzata rispetto all’operazione di investimento, dovendosi affermare che le dichiarazioni generiche fatte sottoscrivere ai clienti, su moduli prestampati, non possono condurre ad affermare l’avvenuto adempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario” – ha poi aggiunto il giudice.