Tutto questo nonostante i tentativi di ammodernare la rete e di provvedere, anche con riforme a livello regionale, ad affrontare un problema che è tra le cause principali della carenza idrica in cui si trova la regione nel 2021. Già nel 1990, secondo dati Istat, l’Abruzzo, con il 33,8%, si collocava tra le regioni italiane a più alta dispersione idrica, a fronte di una media nazionale del 27,1%. Nel 2002 l’assessore regionale ai lavori Pubblici, Giorgio De Matteis, denunciava la dispersione di oltre il 50% delle risorse idriche a causa di omissioni in tema di manutenzione.
‘‘Si e’ determinato uno stato di vetustà e di inefficienza – aveva dichiarato all’epoca – che determina dispersioni altissime che superano il 50% del volume distribuito. Tutto ciò mentre siamo costretti ad acquistare acqua da fuori regione”. Nel 2007 l’assessore regionale al Ciclo idrico integrato, Mahmoud Srour, sosteneva che “enti e cittadini” dovessero “fare ognuno la sua parte per evitare gli sprechi”. “Siamo una regione ricca d’acqua – aveva spiegato all’epoca – con otto metri cubi al secondo di acqua potabile, un dato elevatissimo. Eppure qualcosa non ha funzionato: tra le perdite nella rete e quelle cosiddette ‘amministrative’, la dispersione idrica regionale e’ del 58%”.
Nel 2012 secondo dati Istat l’Abruzzo era la sesta regione d’Italia per dispersione idrica: il 42,3% dell’acqua immessa in rete non era arrivata agli utenti finali. Nel 2014, rilevava l’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, il 53% dell’acqua immessa nella rete idrica abruzzese andava disperso.
L’ultima rilevazione, relativa al 2018 in base a uno studio di Confartigianato, pone l’Abruzzo come maglia nera d’Italia con la dispersione idrica arrivata al 55,6% rispetto al 42% di media nazionale, con tre province su quattro tra le peggiori in Italia: Chieti, L’Aquila e Pescara, rispettivamente al terzo, quarto e decimo posto della classifica nazionale.