Trentenni, diplomati, a 836 euro al mese: l’identikit del precario abruzzese

precariato2Sono 71.394 e rappresentano il 14,5% del totale degli occupati regionali, in linea con la media nazionale. Sono i precari abruzzesi, i “fortunati” che, se non appartengono alla categoria dei liberi professionisti o lavoratori in proprio, possono contare almeno su un lavoro a termine o part-time ma rigorosamente imposto – e dunque non per scelta – con una sola committenza, utilizzano i mezzi di lavoro aziendali e sottostanno ad un preciso orario imposto dai datori di lavoro.

Una categoria di occupati in aumento, dunque, come dimostrano i numeri presentati dall’ufficio studi della CGIA di Mestre, che nel 2010 ha superato la soglia dei 3 milioni. “Occupati” già, ma le cui condizioni lavorative, i salari e le tutele risultano essere ben al di sotto di coloro che possono usufruire di un regolare contratto a tempo indeterminato. E se la situazione abruzzese non è così pesante come quella della Calabria, della Sardegna e della Sicilia – dove la percentuale dei precari sull’intera forza lavoro si attesta rispettivamente al 21,2%, 20,4% e 19,9% – non c’è comunque da stare allegri visto che la maggior parte di coloro che rientra in questa categoria non ha speranze di poter modificare a breve la propria condizione.

Grazie ad un incrocio di elementi e informazioni estrapolati dai dati Istat, la CGIA di Mestre ha anche tracciato un identikit del precario oggi. Ha meno di 34 anni e guadagna in media 836 euro al mese, cifra che sale a 927 euro per i maschi e scende a 759 per le femmine. Inutile sottolineare che null’altro viene aggiunto a questo compenso visto che, non avendone diritto, parole come tredicesima, indennità per missioni, straordinari, premi di produttività restano solo bei sogni per quanti non possono vantare il così detto “posto fisso”.

Ma il dato più interessante riguarda il titolo di studio. Se, infatti, i laureati e gli specializzati si fermano intorno al 15%, la metà dei precari non va oltre il diploma di scuola superiore (46%), mentre il 38,9% non ha terminato il percorso di studi, fermandosi al massimo alla licenza di scuola media. E se già è difficile trovare un’occupazione per coloro che hanno un titolo di studio, la situazione diventa ancora di più a rischio per chi non ha qualifiche al quale spesso viene offerto solo un genere di lavoro molto pesante da un punto di vista fisico, soprattutto in agricoltura, nella ristorazione e nelle costruzioni. Per questo diventa fondamentale attuare delle idonee politiche di formazione per i giovani, capaci di rispondere in maniera concreta alle esigenze del territorio, in modo da consentire ai ragazzi che non se la sentono di proseguire gli studi, di avere comunque una preparazione adeguata per essere inseriti subito nel mondo del lavoro.

Resta il Sud l’area territoriale dove si concentra la maggior parte della precarietà, con oltre 1 milione di precari occupati nel Mezzogiorno. E, strano a dirsi, ma il settore in cui si ha la maggior concentrazione di lavoratori temporanei è nel pubblico impiego dove trova spazio quasi un precario su tre. Scuola, sanità, servizi pubblici e sociali, pubblica amministrazione sono, infatti, i principali fruitori di questo genere di lavoratori atipici. Ma contratti a progetto, co.co.co, partite Iva, contratti a chiamata sono usati molto anche nei settori dell’accoglienza turistica, alberghi e ristorazione (28,3%), dei servizi alle imprese (27,1%), dell’agricoltura, caccia e pesca (26,1%) e nel commercio (12,9%).

 

Manuela Martella

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