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Il FAI denuncia: “La caccia all’oro nero caccia l’oro blu”

Il FAI – Fondo Ambiente Italiano, Fondazione nazionale senza scopo di lucro che dal 1975 ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano, interviene sui progetti di trivellazione petrolifera nell’Adriatico. “Novantacinque permessi di ricerca di idrocarburi rilasciati finora in Italia – si legge nel sito istituzionale del FAI – dei quali ventiquattro in mare con l’interessamento di una superficie pari a 11mila kmq. E’ sempre più sfrenata, dicono i dati di Legambiente, la caccia al petrolio italiano che vede il mare Adriatico protagonista, suo malgrado. Il rischio è una contaminazione delle coste che comprendono anche riserve naturali”.


Il Fondo Ambiente Italiano segnala la “minaccia alla salute delle nostre coste rappresentata dalle trivellazioni in mare di petrolio che, dopo la tragedia del Golfo del Messico, ha iniziato a mostrare a tutti il suo volto più spaventoso. La brutta notizia è che la caccia all’oro nero non esiste solo in mondi lontani da noi, ma esattamente nel nostro back yard, come direbbero gli americani.Un back yard che prende il nome italianissimo di mare Adriatico, sempre più preso di mira dalle aziende petrolifere che puntano, con successo, a farsi approvare permessi di ricerca degli idrocarburi sia in mare sia sulla terraferma. A oggi, secondo le stime di Legambiente, in tutta Italia sono stati rilasciati 95 permessi, dei quali 24 in mare, con l’interessamento di un’area di circa 11mila kmq e 71 sulla terraferma, per oltre 25mila kmq. Nelle nostre acque operano un totale di nove piattaforme, pari a 76 pozzi, dai quali si estrae olio greggio. Due di queste si trovano di fronte alla costa marchigiana, tre di fronte a quella abruzzese e le altre quattro nel canale di Sicilia. Come se non bastasse – continua la nota –  la richiesta di permessi da parte delle aziende non si ferma, tutt’altro. E’ notizia recente l’istanza di permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi presentata al Ministero dello Sviluppo Economico dalla Petroceltic Italia, che interessa una superficie di 728 kmq nel tratto antistante la costa abruzzese compreso tra Pineto e Vasto. A questi si aggiungerebbero poi un’altra decina di permessi richiesti su un’area di tremila kmq complessivi.”
Maria Grazia Mancini, Capo Delegazione FAI di Vasto ha spiegato come “Basta sedersi a riva, tra i profumi delle erbe selvatiche e le spalle protette da ordinati filari di preziose uve, soffermando lo sguardo sulla linea d’orizzonte e seguitando il dolce cigolio d’un trabocco che pesca sulla candida scia della luna, per sapere con certezza che l’insana idea di dissodare il mare barattandone l’azzurro con l’opacità nera del petrolio, è una follia senza giustificazioni che reca in se stessa l’odore acre di un’agonia che la bellezza della nostra costa non merita”.