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Indagine Confindustria: il dramma dell’economia abruzzese

E’ un Abruzzo in forte recessione, che stenta a crescere, quello che emerge dall’indagine semestrale sull’industria abruzzese, presentata questa mattina dal presidente di Confindustria Abruzzo Mauro Angelucci, alla presenza del vice presidente della Regione Abruzzo Alfredo Castiglione, del direttore della Caripe Oreste Invernizzi, di Luciano Fratocchi, docente dell’Università dell’Aquila, dell’economista Pino Mauro e del direttore di Confindustria Abruzzo Giuseppe D’Amico.

Secondo i dati esposti, relativi al secondo semestre del 2009, l’Indice del clima economico complessivo è passato, per l’Abruzzo, dai circa 90 punti del II trimestre 2008 ai 76 punti del II semestre 2009.

Il dato è risultato sempre peggiore sia rispetto a quello medio nazionale che a quello relativo al Mezzogiorno.

In netto calo le esportazioni in Abruzzo, che hanno registrato il terzo peggior risultato tra le regioni italiane (-31,7%). Un dato dovuto prevalentemente alla forte crisi che ha colpito i tradizionali settori portanti del commercio estero regionale, come gli autoveicoli e l’abbigliamento.

Ad essere colpite, infatti, sono state soprattutto le aree a maggiore vocazione industriale della regione: la Val di Sangro (automotive) ed il teramano (abbigliamento, mobili).

La crisi economica ha avuto effetti devastanti anche sul mercato del lavoro; in particolare, l’Abruzzo ha registrato un tasso di disoccupazione superiore all’8% nel 2009, dato superiore di circa 1 punto e mezzo rispetto all’anno precedente e costantemente peggiore di quello del centro Italia.

Per quanto riguarda i dati relativi all’occupazione, emerge un diffuso orientamento alla stabilità: circa il 70% delle imprese non effettuerà assunzioni, ma non prevede nemmeno di ridurre il personale. Meno del 30% degli intervistati, invece, si aspetta di dover ricorrere alla cassa integrazione ordinaria.

A livello settoriale appaiono più orientate all’ottimismo le previsioni relative al comparto delle bevande, dei materiali da costruzione e metalmeccanico. Ciò giustifica, almeno in parte, i dati positivi riscontrati nelle province di L’Aquila e Chieti.

Il mix crisi mondiale-sisma ha provocato, dunque, effetti drammatici per l’economia abruzzese.

Anche se le previsioni dei principali istituti di ricerca ed i risultati dell’Indagine indicano alcuni primi timidi segnali di miglioramento che gli imprenditori abruzzesi potranno cogliere solo se troveranno un adeguato sostegno in interventi di economia industriale a livello nazionale e regionale.

Degli interventi in grado di esaltare la centralità dell’impresa ed in particolare dell’industria, grande, media o piccola che sia.

Possibili soluzioni vengono individuate in un maggiore supporto alla domanda interna delle famiglie, attraverso incentivi e ammortizzatori sociali in deroga; il finanziamento degli investimenti infrastrutturali ed il sostegno all’innovazione; la riduzione della spesa pubblica improduttiva; l’istituzione di un’Agenzia di Sviluppo Economico Regionale; l’attivazione delle zone franche urbane di Pescara e de L’Aquila.

Le reazioni.
“I dati sull’andamento dell’economia regionale e sull’industria abruzzese” ha commentato il vicecommissario regionale dell’Udc, Enrico Di Giuseppantonio “destano allarme e richiamano la politica ad una responsabilità più accentuata. La preoccupazione che ispirano questi dati dovrebbe spingere le forze politiche abruzzesi a stipulare un patto istituzionale per concordare misure concrete che riescano a risollevare l’economia regionale e farla uscire dalla crisi economica.  L’Udc è pronta a fare la sua parte, senza chiedere nulla in cambio, invitando anche l’altra opposizione in Consiglio regionale ad unirsi a questo fronte comune che deve mettere in campo capacità, fantasia e responsabilità, ma soprattutto autorevolezza nei confronti dei referenti nazionali ed europei, ai quali dobbiamo chiedere coralmente di poter avere l’attenzione e le risorse che ci spettano. Sono consapevole che nessuno ha la bacchetta magica, ma non possiamo correre il rischio che la politica, rimanendo inerte e senza risposte per i cittadini, venga risucchiata dal malumore generale”.

Marina Serra