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L’Aquila, la città che non c’è parla e dice cose interessanti

La mattina del  5 aprile, come ogni mattina d’altronde, mi vado a prendere il caffè al solito bar; ci vado non tanto per il locale ma perché il caffè è buono, aromatico, profumato. La mattina del  5 aprile, stranamente, il sapore era diverso dal solito, non profumava anzi … me lo prendo lo stesso e lo accompagno con po’ di acqua per non farmi rimanere l’amaro e il cattivo sapore in bocca.

Esco dal bar e mi reco verso Piazza Duomo per salutare il gruppo di amici pensionati, erano circa le 10, loro vanno via, puntualmente alle dodici. Non c’erano, stranamente, la piazza era semivuota. C’era una postazione della Sky che posteggiava con tre persone che armeggiavano con qualche foglio in mano. Continuo per Corso Vittorio Emanuele e tramite una locandina mi sono ricordato di una mostra fotografica al Palazzetto dei Nobili. Lungo il corso e sotto i portici puntellati vi sono delle foto a colori  esposte da diversi autori. Vado al Palazzetto dei Nobili ed in una sala erano esposte una serie di foto in bianco e nero. Il titolo della mostra era “Lavori in corso”. Sinceramente non mi sono piaciute e non mi dicevano niente. Un po’ annoiato, mentre la senatrice rilasciava un’intervista alla TV locale, me ne sono andato. Fuori c’era un’amica, Giusi, che era incuriosita dai fiori gialli che erano cresciuti in alto tra le pietre della Chiesa di S.Margherita. Ho scambiato qualche parola con Giusi e me ne sono andato e mi sono diretto in via Bafile verso Palazzo Carli.

All’incrocio di Piazza Rivera e Via Cascina c’erano una ventina di anziani turisti che parlavano un dialetto del  Nord  ed  un giovane guida cercava di spiegare qualche cosa che non ho capito bene. C’erano altri che parlavano di tecniche di ricostruzione. Chiedendo scusa ho preso per Via Cascina e subito dopo notavo i lavori del palazzo dove si stanno facendo lavori da diverso tempo. In evidenza, dietro le barre si vedeva una parete ricostruita con mattoni ripieni. Mi sono fermato un po’ a riflettere se quella tecnica costruttiva era sicura per eventuali futuri terremoti. In realtà ho avuto qualche dubbio della sua bontà. Ho continuato il mio tragitto ed in Via Caserma Angelini ho girato a destra.  C’è un palazzo con dei simboli massonici e sono ancora lì intatti; subito dopo c’è un ingresso con un bel portone buttato a terra; all’interno c’è un grande giardino con un abete secolare che primeggia,  c’è una grande confusione e se c’era qualche pianta rara da salvare (è un mio progetto segreto) sicuramente è morta dopo cinque anni. Esco dal giardino e continuo per Via Cascina, arrivo in Via Rustici e vedo che due gru sono state alzate per fare i lavori. Ogni grù che vedo mi fa ben sperare. Arrivo in Via Arco Cirillo e mi reco a fare una visita a casa mia; ci vado sempre più  raramente. La porta della cantina era inaccessibile, era piena di sacchi di residui del cantiere prospiciente Via  Arischia. Guardo la mia bella casa, me la osservo con calma, non la vedo bene, l’acqua l’umidità ed il sole si fanno vedere.  Faccio per andarmene e vedo due operai che silenziosamente lavoravano al cantiere vicino. Uno puliva un pezzo di muro e l’altro cercava di mettere i soliti mattoni ripieni a fianco di una bifora del ‘300. Quella bifora dava ad un cortile interno vuoto, era circondata dalle solite pietre a vista ma quei mattoni che l’operaio stava mettendo mi hanno fatto pensare che non avrei più rivisto quella finestra com’era prima del terremoto. Ed anche in quel momento mi sono chiesto se quella era la migliore soluzione di restauro. Sono andato via con uno stato d’animo sospeso tra un certo ottimismo ma anche scetticismo per le cose che si stanno facendo.  Percorro Via Garibaldi, vedo con piacere che un altro cantiere è partito in Piazza Chiarino.  Prima di arrivare all’incrocio tra Via Garibaldi e Corso Vittorio Emanuele, c’è un aquilano che conoscevo di vista. Mi ferma, mi si avvicina e mi racconta una sua storia personale. Era appena uscito dall’ospedale e non aveva i soldi per prendere l’autobus per raggiungere Roma, dove vive la sua famiglia da dopo il terremoto. Io quel giovane lo conosco di vista, sempre discreto e riservato; in un primo momento ho cercato degli spiccioli in tasca ma poi mi sono chiesto che non era possibile,  non potevo dargli spiccioli, quella storia era vera e gli ho dato una banconota per farlo tornare a Roma. Mi ha abbracciato, ci siamo fatti gli auguri e salutati.  

Arrivo all’incrocio di Via Garibaldi dove incontro un’amica che mi invita ad un convegno che si stava tenendo all’Università. Con una certa diffidenza l’ho seguita. In verità ero più curioso di rivedere l’aula magna di Lettere e Filosofia. Entro e mentre l’amica se ne va tra le prime fila io mi siedo un po’ in retrovia. C’era l’ingegnere Capo dell’Ufficio speciale che stava ultimando la sua relazione. Ho sentito solo  due parole e, sinceramente m’è dispiaciuto, non aver sentito il suo intervento. Subito dopo interviene la nuova dirigente del Comune della quale non ricordo il nome. Il suo è un intervento costruito con grafici e numeri sul personale e i servizi che il Comune organizza. Un aspetto mi ha interessato della sua relazione. Ha affermato che sono andati via dalla Città circa 1500 persone. Se vero sarebbe un dato positivo, ma, sicuramente, la statistica non a i conti con la realtà. Non ci dice, ad esempio, che molti che sono andati via sono ancora residenti solo perché pensano che un giorno ricostruiranno, giustamente, la loro casa. Interviene un professore universitario che più volte si rivolge all’ex sottosegretario Letta con un fare un po’ ruffiano. Arrivano le conclusioni del Sindaco. Ha introdotto affermando che avrebbe fatto brevi conclusioni ma in realtà essendo ripartito dalla fatidica notte di Aprile, cercando invano la conferma di ciò che diceva a Letta, dove si stava decidendo il futuro della Città, ha parlato per oltre mezz’ora ripetendo le solite cose ma ribadendo il suo rancore per alcuni quotidiani nazionali. Era l’ora di pranzo e mentre TV locali e nazionali intervistavano il Sindaco e l’Ingegnere Capo me ne sono andato anche con uno stato d’animo distaccato, preso dal dubbio e dallo scetticismo tra le cose che si dicono in questi convegni e la realtà.

Esco e vicino alla Fontana Luminosa incontro uno dei militanti del movimento M5S, ex leghista, mi ferma ed incazzato come al solito, mi dice che era andato a vedere la mostra fotografica al Palazzetto dei Nobili e che non gli era piaciuta. Lo saluto e me ne vado a casa a cucinare per mangiare un po’ di pasta. Una volta tanto con Ennio eravamo d’accordo. Qualcuno penserà che le cose raccontate sono inventate, qualcun altro dirà: madonna mia quante sensazioni si possono raccogliere in una mattinata in una Città che non c’è più. Eppure, in queste condizioni disagiate, sbattuti in case che nessuno considera “CASE”, lontani dal centro storico, quando si viene al Centro, ci si attacca a tutto:  parlano le persone ma anche le pietre, le strade, le case, le piante, i fiori. Sono belle sensazioni che, state pur certi, non proverete mai in un supermercato.

Angelo Ludovici