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L’amianto, il sopralluogo ed il treno del Parco Chico Mendes: la lettera del biologo

Gentili Sindaco ed Ing. Mastropietro,

innanzitutto Vi ringrazio per la sensibilità che avete mostrato nell’interessarvi alla mia segnalazione, cosa che non davo per scontato, e per aver tempestivamente richiesto un parere alla Autorità competente in materia di Sanità Pubblica (ASL). Commentando quanto letto sulla stampa locale in merito all’argomento, volevo fare alcune precisazioni che potrebbero essere utili ad inquadrare meglio quanto accaduto, senza alcuna intenzione di strumentalizzare i fatti, ora come in precedenza, per interessi di natura diversa, tantomeno di tipo politico. Preciso a tal riguardo che a causa o grazie alla mia professione di Biologo ambientale sono particolarmente sensibile a tali tematiche, dunque il mio interesse sull’argomento è dovuto, oltre che al comune senso civico, ad una certa dose di deformazione professione maturata nel corso di oltre 15 anni di servizio prestato a tale causa.

Da quanto appreso a mezzo stampa, il Dott. Carmine Guercioni, Dirigente medico Competente del Dipartimento di Prevenzione della Asl di Teramo, a conclusione del sopralluogo effettuato nei giorni successivi alla segnalazione, avrebbe verificato la correttezza delle procedure attuate nel cantiere in oggetto escludendo rischi per l’ambiente e per la salute pubblica, compresi quelli legati alla presenza di amianto mettendo fine, di fatto, alle polemiche innescate dalle varie segnalazioni.

In considerazione di ciò l’iter, al momento, può considerarsi concluso e proceduralmente, forse, corretto, seppur i sopralluoghi avrebbero dovuto essere disposti prima dell’inizio e non a lavori quasi ultimati. Solo così, infatti, si sarebbe potuto valutare in tempo e prevenire eventuali rischi legati allo smaltimento dei manufatti considerati. Io spero, a tal riguardo, che la Relazione del Dott. Guercioni sia più completa ed esauriente di quanto trapelato sino ad ora per le vie informali, e che effettivamente le motivazioni addotte siano supportate da valutazioni tecniche più precise che escludano, con ragionevole certezza, la presenza di materiali contenenti amianto. Dichiarare che “l’allarme sollevato non risulta basato su elementi concreti e riscontrabili”, in tal caso, mi sembra una affermazione quantomeno incompleta. Infatti, purtroppo, l’amianto non è stato utilizzato solo in formati riconoscibili come le famose onduline in “eternit” spesso installate come tettoie di garage o locali di servizio e che, se integre e non sottoposte a tagli o perforazioni, di per sé, non sono sempre pericolose.

E’accertato e documentabile infatti che nei vagoni ferroviari prodotti fino al 1979 la presenza di amianto era massiccia poiché lo stesso era presente in diverse forme e tipologie, non sempre facilmente individuabili o segnalate, utilizzate ad esempio come materiale coibentante, isolante elettrico ed acustico, come antirombo ecc. per una quantità che complessivamente richiedeva, per ogni vagone, fino a 10 quintali di amianto. È accertato che alla fine degli anni 80 erano stati coibentati con l’amianto 3.000 dei 6.000 rotabili delle Ferrovie. La stessa INAIL in un documento raccoglie tutte quante le sedi in cui erano presenti materiali contenenti amianto, le lavorazioni con materiale in amianto e, più in generale, le condizioni in cui i lavoratori delle Ferrovie venivano a contatto con l’amianto, esposti all’inalazione delle fibre killer e ai rischi che questa comportava.

Dunque, in situazioni di rischio oggettivo, come sicuramente può essere considerata la bonifica di un vagone ferroviario,  la presenza di amianto o la sua concentrazione nell’aria non dovrebbe essere esclusa con un semplice sopralluogo condotto, per giunta, senza l’ausilio di idonea strumentazione, ma attraverso campionamenti mirati, sia di materiale presente sul sito (multi campione e multi matrici) che dell’aria atmosfera filtrata attraverso appositi filtri. Solo in questo modo si può avere una idea, seppur sempre stimata, della concentrazione di fibre aereodisperse  per volumi di aria noti e del relativo rischio a cui è sottoposta l’intera popolazione residente.
Si capisce dunque che in casi simili, soprattutto in mancanza di certificati di avvenuta bonifica, sarebbe meglio richiedere alle Ditte esecutrici, prima dell’inizio dei lavori, un piano di bonifica e di sicurezza del cantiere, valutabile dagli altri organi competenti (ARTA, ASL, Provincia) che insieme rilasciano le necessarie autorizzazioni per l’esecuzione dei lavori e soprattutto per la gestione dei rifiuti che, seppur in assenza di sostanze pericolose, sarebbero sicuramente classificati come “rifiuti speciali” e come tali da trattare e smaltire secondo norme specifiche (D.Lgs 152/2006 e L.R. 45/2007).

Lo stesso Dott. Guercioni avrà sicuramente individuato e segnalato la presenza di tali rifiuti (ferodi, frizioni, pasticche dei freni, pannelli coibentanti, lana di vetro ecc.) che andrebbero gestiti da ditte specializzate  attraverso un piano di smaltimento preventivo che, a quanto risulta allo scrivente, non è stato presentato né valutato da alcuno. In effetti, dalle diverse foto pubblicate sui quotidiani locali e su vari siti internet di informazione si nota, ad esempio, l’assenza sul cantiere di un qualsiasi tipo di telone o altro accorgimento impermeabile di raccolta, posizionato al di sotto delle carrozze al fine di scongiurare lo sversamento diretto di rifiuti liquidi sul terreno e l’inquinamento delle possibili falde sotterranee.

Si nota, inoltre, l’assenza di qualsiasi forma di gestione dei lavori (assenza di ponteggi posizionati in sicurezza, operai senza dispositivi di protezione individuale, quadri elettrici non a norma, assenza completa della delimitazione della zona con divieto di accesso ecc.); mi stupisco che in seguito ad almeno due sopralluoghi nessuno abbia rilevato tali anomalie e soprattutto segnalato la totale carenza di notizie sul cartellone di cantiere (sprovvisto infatti di individuazione del responsabile dei lavori, del numero e tipo di autorizzazione, del responsabile della sicurezza, ecc.). E’ lecito pensare, a questo punto, che non ci sia neanche un piano di sicurezza del cantiere, anche perché sembrerebbe che la ditta incaricata abbia dichiarato quanto segue nella domanda presentata presso l’Ufficio Tecnico: “il piano di sicurezza consisterà solamente nel chiudere il parco, durante le operazioni di bonifica”.

Appare, inoltre, avventato condividere la convinzione dell’ex proprietario dei vagoni, Massimo Lesti, che paventa di una possibile precedente bonifica dei vagoni in quanto, ai tempi, gli stessi avrebbero ricevuto tutte le autorizzazioni del caso per l’esercizio di ristorazione e che dunque, per forza di cose, sarebbero già a norma, cioè bonificati. Ma per ottenere l’autorizzazione al ristoro di un locale, oggi come allora, tranne per casi particolarmente evidenti, non è richiesta una certificazione che attesti l’assenza di amianto, tanto più se tali materiali sono mimetizzati o incapsulati nei rivestimenti delle pareti e del pavimento. La prova di quanto affermo è data dal fatto che ancora oggi troviamo molti chalet e locali, o parti di essi, con tettoie in eternit regolarmente autorizzati alla ristorazione che non hanno rimosso le lastre in quanto le stesse si mostrano integre e non disperdenti. Gli stessi proprietari possono però rimuoverle e smaltirle soltanto attraverso una ditta specializzata ed un iter procedurale approvato preventivamente.

Non sapendo se esistono documenti che possano smentire quanto sopra ipotizzato (ad esempio una certificazione di una precedente bonifica) ritengo aberrante quanto accaduto, seppur a questo punto probabilmente legittimo. Infatti il Dott. Guercioni con la relazione di sopralluogo citata ha effettivamente rilasciato un nulla osta che, seppur successivo all’inizio dei lavori, di fatto autorizza il cantiere a concludere la rimozione e lo smaltimento.

Ribadisco che, come per molti altri contaminanti, la presenza di Amianto in un campione non è facilmente individuabile ad occhio nudo in quanto, ad esempio, in passato alcune tipologie di amianto sono state utilizzate “a spruzzo” insieme alle vernici, e dunque sono riscontrabili solo attraverso l’utilizzo di analisi di laboratorio mirate (microscopia elettronica a scansione) svolte, ad esempio, nel Centro di Riferimento Regionale per l’amianto ARTA di Teramo. Dunque il Dott. Guercioni avrebbe potuto richiedere l’intervento dei Tecnici dell’ARTA per l’effettuazione di un campionamento specifico, come spesso accade in situazioni potenzialmente pericolose e come già verificatosi, ad esempio, nell’Area ex-Sadam alcuni anni fa.

Tutto l’iter appare gestito in maniera frettolosa e superficiale, soprattutto considerando che quelle carrozze avevano tanti elementi concreti da valutare, prima di avviare i lavori, e la letteratura scientifica disponibile in merito lo dimostra ampiamente. Ma ciò non è avvenuto ingenerando nell’opinione pubblica, fra le altre cose, notevoli dubbi e perplessità  difficili poi da dirimere.

Nei prossimi giorni lo smaltimento sarà probabilmente concluso e non ci rimarrà che far finta di niente come già successo altre volte. Mi auguro almeno che tale esperienza possa servire, in futuro, per gestire nella maniera più idonea situazioni simili, perché l’ambiente in cui viviamo appartiene a tutti noi e dovremmo conservarlo al meglio anche per le prossime generazioni.

Cordialmente.
Dott. Biologo Pierluigi Tribuiani