Da molto tempo si susseguono con una alta frequenza le polemiche, in ambito Sevel, sulla questione del cosiddetto assenteismo.
Appare evidente un uso strumentale di singoli casi di assenteismo, sui quali predominano le considerazioni di parte aziendale, per generalizzare su una situazione che molto poco si analizza. Da qualche tempo è iniziato un controllo aziendale che si potrebbe dire asfissiante sull’uso dei permessi. I lavoratori sono sorvegliati e minacciati di provvedimenti disciplinari per quello che Sevel ha spesso considerato un abuso dei permessi garantiti dalla legge. Ma finora siamo, stando alle cifre fornite da Sevel, a undici casi che l’azienda segnala di abuso dall’uso dei permessi. Undici casi di presunti abusi (non si hanno notizie delle giustificazioni dei lavoratori), su oltre 6000 dipendenti dello stabilimento di Atessa! Non è certo un rapporto che può incidere sulla produttività aziendale. Lo scopo di tanta enfasi pare allora essere quello di mostrare la necessità di una stretta aziendale sulla concessione di permessi, che arriva fino alla sorveglianza delle vite delle lavoratrici e dei lavoratori fuori dalla fabbrica. Corollario di questa situazione sarebbe quindi l’inevitabilità di quel restringimento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, già incluso nel contratto separato che Cisl, Uil, Fismic e Ugl hanno firmato con Fiat. Va ad esempio in questa direzione, la prescrizione, contenuta nel contratto Fiat, di non pagare la malattia quando questa, pur accertata da certificato medico, ricada in casi che l’azienda giudica a priori e genericamente non attendibili.
Lo stesso uso dei termini avalla inoltre questa situazione, dal momento che troppo spesso si parla in maniera generica di assenteismo, considerando con questo termine qualunque assenza dal lavoro: dai permessi retribuiti ai giorni di malattia, dalle assenze per motivi di assistenza garantiti dalla legge 104 a quelle per l’esercizio democratico della rappresentanza politica in caso di elezioni. Tutto ciò, insieme alle assenze dal lavoro sistematiche ed ingiustificate, soli casi per i quali si dovrebbe parlare di assenteismo. Quando un lavoratore non va al lavoro perché sta male, non è assenteista: è malato. È necessario fare chiarezza su questo punto, perché la confusione tra esercizio del diritto e furbizia di qualcuno che del diritto si approfitta non aiuta a vedere il problema, né tantomeno a risolverlo ma solo a strumentalizzarlo.
Faccio notare che anche l’Indagine Confindustria sul mercato del lavoro nel 2011 (ultimo disponibile, in attesa di leggere quello per l’anno 2012) riferisce di un “tasso di gravità delle assenze” (come più opportunamente è chiamato il cosiddetto assenteismo) per aziende con oltre 100 addetti, pari all’8,2%. È la stessa associazione degli industriali a specificare che ad assentarsi dal lavoro con maggiore frequenza sono gli operai ed in particolare le donne. Guarda caso, proprio gli operai soffrono in maniera diretta l’aumento dello sforzo esercitato nelle attività lavorative e le donne sono quelle che più frequentemente sono costrette all’attività assistenziale in famiglia. Su questo fronte è bene sottolineare un aspetto essenziale: l’incidenza delle condizioni di lavoro sul tasso di assenze. Appare immediatamente ovvio che quanto più in stabilimento lavorano persone classificate come RCL, e cioè a “ridotte capacità lavorative”, tanto più alta è la probabilità di avere frequenti assenze dal lavoro. Si tratta di persone con le braccia, le mani, la schiena “rotte” dagli sforzi. In Sevel se ne contano a centinaia ed il sistema Ergo-Uas, da tempo introdotto nello stabilimento di Atessa, potrebbe aumentare il numero di operai a ridotte capacità lavorative in quanto interviene aumentando i ritmi di lavoro, quindi lo sforzo fisico e quindi, verosimilmente i tassi di assenza dal lavoro. Qui si potrebbe aprire un capitolo ampio e non è il caso in questa sede. Ma sarebbe almeno il caso di indagare quale rapporto ci sia tra numerosità degli RCL ed il tasso di assenze in fabbrica. Aspetto non secondario in questo scenario, è la sostanziale impossibilità per i lavoratori di essere parte attiva dell’organizzazione aziendale, che invece subiscono (vedi, appunto, l’introduzione dell’Ergo-Uas nelle fabbriche Fiat). Insomma, senza volersi lasciare andare alla propaganda spicciola, è necessario che nella polemica sulle assenze in Sevel si parta da una considerazione: i furbi che approfittano di un diritto dei lavoratori non rappresentano la generalità e che quindi, se davvero si vuole indagare un problema, non si interviene con il restringimento dei diritti. Se si partisse da questa base si potrebbe indagare il fenomeno nella sua reale portata e se ne potrebbero rintracciare le vere cause. Per fare ciò occorre mettere in causa anche l’attuale organizzazione del lavoro in fabbrica. Ma appare evidente che sia proprio questo l’elemento di cui non si voglia discutere: l’alto grado sfruttamento del lavoro nelle fabbriche, che ormai, in nome della produttività è ricercata solo sull’aumento dei ritmi di lavoro. L’aumento delle condizioni di precarietà già perseguito dal governo Monti e che il governo Letta sta aumentando, non potrà che peggiorare questa situazione già drammatica, in quanto i lavoratori più ricattabili sono costretti ad accettare condizioni di lavoro più gravose e pericolose. Di questo passo si ingrosserà inevitabilmente quell’esercito di lavoratori malati, i cui dati sulle malattie professionali in continuo aumento già confermano (e che come Rifondazione Comunista abbiamo già denunciato in un dettagliato rapporto dello scorso gennaio). Quei lavoratori saranno costretti ad assentarsi dal lavoro per curarsi, facendo inevitabilmente aumentare il “tasso di gravità delle assenze”. C’è un costo personale, quindi, che i lavoratori pagano e di cui poco o per niente si discute, e ci sono dei pesanti costi sociali delle malattie professionali che sono a carico della collettività. Si tratta, a ben vedere, di ulteriori costi della crisi che si vorrebbero far pagare ai lavoratori.
Riccardo Di Gregorio (segretario provinciale Prc)
Carmine Tomeo (responsabile Lavoro Prc)