L’Aquila. ‘Emergenza fiamme in Abruzzo: gli incendi simbolo di questa disastrosa stagione sono quelli che hanno letteralmente massacrato il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (300 ettari in fumo a partire da Campo Imperatore) e il Parco della Majella (oltre 1200 ettari tra i vari versanti del Monte Morrone, incendio tuttora in corso), ma non sono stati certamente gli unici.
I Comuni abruzzesi che hanno subito danni da incendi boschivi nel loro territorio dal 1 luglio al 22 agosto erano 86 e l’elenco è già da ritoccare in aumento dopo gli ennesimi episodi degli ultimi giorni (fiamme ad Anversa degli Abruzzi, Cocullo, Prezza, Raiano…). Una situazione di emergenza che richiede una risposta decisa e ben articolata, dettata dalla sapienza e non dall’improvvisazione’, dichiara in una nota il WWF Abruzzo, che poi analizza cosa non è andato per il verso giusto e quali dovrebbero essere le azioni da intraprendere secondo l’associazione.
‘
Incendi boschivi
È in primo luogo fondamentale che gli incendi boschivi vengano tutti classificati come tali. L’art 2 della legge 353/2000 definisce l’incendio boschivo come un fuoco che ha suscettività ad espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture o infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree. Ciò significa che l’evento incendio non deve per forza interessare un bosco nella sua accezione comune per essere definito boschivo ma basta anche che il bosco, l’area cespugliata o arborata siano messi in pericolo dalle fiamme. Una precisazione fondamentale per i risvolti legali che la classificazione comporta.
Il rimboschimento è un errore
L’idea che la Regione porta avanti in queste ore è quella di valutare la possibilità di chiedere una deroga per rimboscare subito le aree percorse dal fuoco. Una riunione su questo tema è stata convocata dal presidente D’Alfonso per il 13 settembre prossimo. A parte il fatto che non sono stati in alcun modo coinvolti i Parchi, procedere a un rimboschimento sarebbe un clamoroso errore che va evitato a ogni costo.
Un bosco artificiale si riconosce infatti immediatamente per avere alberi tutti uguali, della stessa altezza e più o meno alla stessa distanza l’uno dall’altro. Un ambiente poco attrattivo, monotono e penalizzante dal punto di vista dello sviluppo della biodiversità, del tutto improprio in un’area naturalistica di pregio. La ripresa naturale della vegetazione, anche se richiede tempi più lunghi, ha tutt’altro aspetto, “naturale” appunto, e garantisce, attraverso una accentuata biodiversità vegetale, la presenza di numerose e diversificate specie animali.
Che oggi si parli di rimboschimento significa soltanto che non siamo stati capaci di imparare dagli errori del passato e che peraltro vogliamo rischiare di far rinascere la spirale perversa fiamme/ripiantumazione che la legge vuole combattere. Quelli che possono servire sono unicamente interventi di messa in sicurezza, ovviamente con ingegneria naturalistica, a fronte di eventuali criticità in relazione al dissesto idrogeologico. Per il resto occorre lasciare che la natura faccia il suo corso e niente altro. Più che mai in un Parco Nazionale.
Danno irreparabile ma chi lo ha creato paghi
Resta il danno enorme, e certamente irreparabile: gli alberi che cresceranno saranno altri rispetto a quelli bruciati; gli animali morti non risusciteranno e le fiamme ne hanno uccisi tanti, soprattutto rettili che rappresentano tra i vertebrati la classe zoologica più colpita. Un danno per il quale auspichiamo che gli inquirenti e la magistratura sappiano presentare in tempi brevi il conto ai colpevoli.
Impariamo dagli errori
Altro punto fondamentale è far sì che quel che è accaduto non possa ripetersi. In passato la vigilanza anti-incendio nelle aree protette era garantita da squadre di volontari, coordinate da Forestale e personale del Parco, che tenevano sotto controllo il territorio per consentire interventi immediati. Un servizio che è stato via via dismesso per carenza di fondi (nonostante l’impegno economico fosse limitato) così come, per la stessa ragione, sono diminuiti negli anni i mezzi a disposizione con una accentuazione negli ultimi mesi legata alle note vicende legate alla soppressione del Corpo Forestale dello Stato.
Senza nulla togliere all’impegno e alla eccezionale dedizione di quanti hanno operato e stanno operando contro le fiamme, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Carabinieri, volontari e quanti altri, ai quali va la nostra gratitudine, quel che è accaduto quest’anno dimostra come sia indispensabile e urgente voltare decisamente pagina per la tutela dei boschi e delle aree protette.
Occorre un passo indietro: c’è bisogno di una riorganizzazione capillare del servizio anti-incendio – dalla vigilanza agli interventi d’emergenza – con un coinvolgimento diretto delle strutture delle aree protette e anche, perché no?, dei cittadini di buona volontà, con adeguata dotazione di mezzi, compresi quelli più moderni (telecamere, droni) se il loro uso si rivelerà utile.
Qualcosa va fatto anche sul piano normativo. Nessuno vuole cancellare eventi tradizionali o antiche feste patronali, ma occorrono delle cautele, ovunque, e più che mai nei Parchi. Le fiere con bancarelle devono trovare spazio nei centri abitati o nelle loro immediate periferie e non sui prati. Ne guadagnerà la tutela della natura e anche la stessa economia dei paesi montani. I fuochi d’artificio vanno proibiti in tutte le aree protette, per il danno ambientale che comunque provocano anche quando non favoriscono incendi.
Ci sono altre maniere (a esempio spettacoli di luce, organizzati persino sulla facciata di San Pietro in alternativa ai “botti”) per festeggiare. L’Abruzzo è sempre stato terra di tradizioni ma anche di innovazione e progresso e può dimostrarlo voltando pagina e modernizzandosi a tutela di quella che per tutti resta comunque l’esigenza primaria: garantirsi una adeguata qualità della vita come solo un ambiente sano e piacevole sa dare. Qualcuno lo ha in parte distrutto. Impariamo la lezione e andiamo avanti, ma con intelligenza, senza lasciarci prendere dalla fretta che, si sa, è una cattiva consigliera.
La gravità di quanto è successo richiede un’azione puntuale e coordinata da parte delle Istituzioni, ma occorre anche che gli abruzzesi facciano sentire la propria voce e mantengano alta l’attenzione sulla gestione del territorio affinché, passata l’emergenza di questa estate, non torni tutto nel silenzio. Per questo il WWF sta organizzando un sit-in a Pescara per il prossimo fine settimana al quale chiamerà a partecipare tutti coloro che vogliono effettivamente chiedere a Regione, Enti Parco, Comuni e organismi competenti di mettere in campo le azione necessarie per individuare le responsabilità di questi disastri e per evitare che gli stessi possano ripetersi in futuro’, si legge in conclusione.